La Bce, in scia alla Fed, continua nella sua politica di aumento dei tassi: +0,25%
- di: Redazione
La Banca Centrale Europea - confermando le previsioni (e i timori) degli ultimi giorni - ha deciso di proseguire nella sua politica di aumenti dei tassi di interesse, aggiungendo 0,25 punti percentuali a quello applicato sino a ieri. Secondo gli analisti, l'aumento ha tenuto contro del timido calo dell'inflazione nell'eurozona, esclusi i prezzi dell'energia, e della debole crescita economica nell'area. Una scelta (si tratta del sesto aumento, a partire dal luglio dello scorso anno) che, motivata dalla necessità di proseguire nell'azione contro l'inflazione, certo non aiuta l'economia dell'eurozona, che si dovrà ancora confrontare con il ciclo d inasprimento monetario messo in atto dall'Istituto di Francoforte.
La Bce, in scia alla Fed, continua nella sua politica di aumento dei tassi: +0,25%
Che non ci si dovesse aspettare null'altro che un nuovo aumento lo aveva detto, alla fine dello scorso mese, il capo economista della Bce, Philip Lane, con un inequivocabile ''ora non è il momento'', riferito ad un eventuale stop all'innalzamento del tasso. Comunque, anche se questo serve poco a consolare i tanti che speravano che il giro di vite sui tassi si fermasse, alla fine, nella riunione della Bce, hanno prevalso le colombe che puntavano appunto su un aumento di 0,25 punti rispetto allo 0,5 di marzo.
Il ragionamento della Bce è abbastanza lineare (che poi sia anche giusto, è un altro paio di maniche): il tasso di riferimento, remunerando l'eccedenza di depositi bancari dormienti allo sportello BCE, viene quindi innalzato dal 3,0% al 3,25%. Con la conseguenza che il reddito sarà più caro, nella speranza che freni la domanda di mutui, per consumi o per investimenti delle imprese e rallenti, in questo modo, la crescita dei prezzi.
Un ragionamento che è in linea con le politiche recenti della Banca, che sembra avere voluto sposato le tesi rigoristiche di alcuni a dispetto del ''grido di dolore'' dei cittadini e che non lascia spazio anche solo ad un timido ottimismo, dal momento che la Bce non ha fatto capire come voglia muoversi nel futuro più prossimo.
Per evitare che si possano manifestare speranze che rischiano di andare deluse, la Bce ha detto, nel comunicato che ha sugellato la riunione di oggi, che le sue future decisioni ''garantiranno che i tassi di interesse di riferimento siano portati a livelli sufficientemente restrittivi da consentire un rapido ritorno dell'inflazione all'obiettivo di medio termine del 2%". Quindi, detto al colto e all'inclita, l'ente vuole mantenere "un approccio basato sui dati economici" .
Il che significa, detto brutalmente, che si ragiona sui numeri e non in base a quanto le misure impattano (negativamente) sui cittadini nella loro vita quotidiana.
Comunque, nessuna sorpresa perché, dall'estate dello scorso anno, le decisioni della Bce sembrano seguire pedissequamente quelle della Federal Reserve che, anche davanti ad un andamento dell'inflazione certo migliore di quella europea, non si è discostata dalla sua politica, anche se oggettivamente le condizioni dell'economia statunitense sono manifestamente migliori delle nostre. Soprattutto alla luce della solidità del mercato del lavoro americano che continua a ''produrre'' nuova occupazione. Ma se le mosse della Fed mirano a tenere bassa la dinamica dei salari, questo problema non c'è in Europa se non a livello di statistica, dal momento che ciascun Paese si muove autonomamente, e quindi si può ragionare solo a livello di media.
Certo, se si vuole mettere sotto controllo l'inflazione, tutto si giustifica. Ma ci sono evidenze che sono si possono sottovalutare, allo stesso modo in cui non si possono santificare gli obiettivi. In aprile, nell'eurozona, l'inflazione è tornata ben al di sopra dell'obiettivo del 2%, riguadagnando 0,1 punti percentuali, al 7%, dopo mesi di rallentamento. Questo in termini assoluti, ma che non sono ''universali''. Perché escludendo i prezzi di energia, cibo, tabacco e alcol, l'inflazione “core” è scesa per la prima volta in un anno, al 5,6% dal 5,7% di marzo, secondo Eurostat.
L'obiettivo è quello di mettere sotto controllo l'inflazione, di cui non si prevede un significativo rallentamento nel breve termine. Ma è cosa difficile da conseguire, visto che alcuni Paesi importanti in Europa, hanno concesso consistenti aumenti salariali, come ha fatto la Germania per i dipendenti dei pubblici servizi.
A soffrire maggiormente sarà, ovviamente, il settore bancario, con le condizioni di prestito che stanno diventando più difficili che mai dalla crisi del debito sovrano del 2011.
Anche se a Francoforte non sembrano avvedersene, la stretta monetaria sta avendo i suoi effetti, che non si esauriranno a breve. Lo ha detto lo stesso Philip Lane, quando ha affermato che "tutti questi impatti continueranno a diffondersi gradualmente nell'economia''. Insomma, non è affatto finita. Le tensioni sul fronte bancario, dopo i forti timori delle scorse settimane (e la cui eco giunge anche da oltre oceano, come dimostra la crisi di First Republic Bank), potrebbero tornare a manifestarsi con un forte rialzo dei tassi. E, in questo panorama, si inserisce la debole crescita del Pil nell'eurozona (lo 0,1% nel primo trimestre), che in qualche modo, se attesta il rallentamento voluto dalla Bce, evidenzia anche la vulnerabilità dell'economia nell'Ue.