Che cosa (non) è cambiato. Lo scandalo della Banca Romana

- di: Fabio Verna
 

Da anni seguiamo con attenzione, ma anche con grande collettivo disappunto, una serie di scandali che hanno travolto o che ancor oggi vedono protagonisti taluni Istituti di credito del nostro paese. Purtroppo il sovrapporsi delle tante notizie oggi a disposizione dei cittadini, talvolta ci fa dimenticare come siano già occorsi nel passato fatti ancor più gravi, sia per la consistenza dei reati poi emersi all’attenzione della magistratura, sia per l’ammontare degli importi oggetto dei fatti criminosi, sia per il danno conseguentemente subito dalla collettività.

Lo scorso mese sono stato chiamato a presentare, presso la libreria Mondatori di Roma, nei pressi di Campo de’ Fiori, un interessante testo divulgativo dal titolo: “Il processo della Banca Romana”, con un sottotitolo che ben rappresenta le mie succitate considerazioni: “il mistero delle assoluzioni”. Da studioso dei temi economico finanziari, conoscevo tutta questa complessa vicenda, che appare a miei occhi ancor più drammatica in quanto posta in essere proprio da quella Istituzione che emettendo la valuta, dell’allora Regno d’Italia, avrebbe dovuto tutelarne l’utilizzo e la circolazione. Ma nonostante la mia pregressa conoscenza dei fatti, sono stato egualmente colpito dall’attento lavoro di ricerca portato a termine dall’Avv. Francesco Savasta, un professionista dotato delle specifiche competenze, nonché in forza alla vigilanza della CONSOB sin dal 2002. In sintesi la Banca Romana, antesignana di quella che sarebbe, di lì a breve, diventata la Banca d’Italia e dunque già all’epoca un Istituto di emissione, aveva cominciato a stampare banconote “doppione” e quindi false, seppur stampate con clichè autentici.
Un enorme flusso di denaro destinato a finanziare gli “amici degli amici”, corrompere funzionari eccessivamente zelanti, rendere conniventi le opposte fazioni politiche al fine di favorire interessi di parte. Dunque vi è una sorta di “fil rouge” che partendo da quei fatti delittuosi, della Banca Romana, per altro mai chiariti sino in fondo, arriva sino ai giorni nostri, legando talune indagini sulle correnti difficoltà del MPS, alla cessione delle banche venete acquistate nel 2017 ad un prezzo di fatto simbolico, senza dimenticare il dramma dei risparmiatori coinvolti nell’insolvenza di Banca Etruria e di Banca Marche del 2015, passando anni addietro per l’Ambrosiano di Roberto Calvi ed ancor prima per la banca di Michele Sindona. Questa lunga storia di accadimenti di cattiva gestione, di favoritismi, peggio: di eventi corruttivi, di ingerenze politiche, almeno dal mio punto di vista, potremmo sintetizzarla con la assoluta carenza di un aspetto fondamentale nella gestione del sistema creditizio: “la questione morale”. 
Infatti vi è un assunto che non bisognerebbe mai dimenticare: le banche non usano denaro proprio bensì il denaro dei loro clienti, che siano questi  ultimi correntisti o risparmiatori. Denaro che proprio gli Istituti di credito sarebbero chiamati a tutelare, assieme naturalmente agli organi di controllo preposti a questa specifica funzione.
Tornando al libro di Francesco Savasta, l’Autore ricostruisce con una cura particolare le diverse fasi processuali, le ingerenze dell’allora Ministro degli Interni Giovanni Giolitti, poi Presidente del Consiglio dei Ministri, nei confronto della magistratura, nonché la conflittualità politica con il rivale Francesco Crispi, anch’esso successivamente presidente del Consiglio, il ruolo, penalmente rilevante, del Governatore Bernardo Tanlongo, nonché dei tanti uomini politici e dei funzionari dello Stato coinvolti nello scandalo, di fatto una notevole parte della classe dirigente dell’epoca, che invece di tutelare il bene economico del paese, intese approfittare della situazione per arricchirsi illecitamente.
Il processo di fatto cadde o “venne fatto cadere” col tempo nel dimenticatoio, prima frazionato in diversi filoni e poi tra prescrizioni ed amnistie. Lo stesso Bernardo Tanlongo, imputato di peculato, falso in atto pubblico reiterato, di corruzione, nonché di aver fabbricato moneta falsa per oltre £ 40 milioni, una somma enorme per l’epoca, eppure nonostante tutto questo, alla fine venne assolto con l’inusuale formula di assoluzione per amnistia. Il Regno d’Italia nato da pochi decenni era già protagonista di un caso di corruzione che aveva colluso molti degli allora protagonisti della vita pubblica del paese.

Oggi ci stupiamo quando vengono denunciati illeciti o per lo meno immorali comportamenti da parte di taluni manager del sistema bancario, (in tal senso vorrei ricordare anche il libro di Federico Rampini: “Banchieri. Storie del nuovo banditismo globale”) dimenticando due considerazioni di base, la prima, già sopra ricordata, ovvero che il sistema bancario non usa denaro proprio bensì quello dei correntisti, e già questo dovrebbe far accendere la nostra attenzione, ma soprattutto di come la gestione del denaro possa molto spesso generare la cupidigia, e questa appare insita negli esseri umani sin da tempi lontani; in fondo per avere conferma di queste mie fosche considerazioni basterebbe rileggere taluni passi delle “Catilinarie” scritte ed enunciate al Senato di Roma oltre 2000 anni or sono.

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