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Chiusure Asia: in ordine sparso tra oro ai massimi e futures in rialzo

- di: Matteo Borrelli
 
Chiusure Asia: in ordine sparso tra oro ai massimi e futures in rialzo
Tokyo frenata, Seul scivola, Taipei corre. Il dollaro resta forte ma l’oro festeggia un altro mese di rialzi. Petrolio e gas cercano un nuovo equilibrio, mentre i futures europei si preparano a un’apertura positiva nonostante il blackout sui derivati Usa.

Asia chiude un novembre nervoso

Le Borse asiatiche hanno archiviato l’ultima seduta di novembre con un quadro misto e movimenti contenuti, sullo sfondo dei mercati Usa chiusi o a mezzo servizio per il Thanksgiving e di un mese che ha alternato scossoni e rimbalzi. Gli investitori hanno preferito consolidare i guadagni, soprattutto nei listini più esposti alla tecnologia e all’intelligenza artificiale, senza però smontare del tutto il posizionamento su asset rischiosi.

A Tokyo il Nikkei 225 ha chiuso praticamente invariato, con un lieve calo dello 0,07%, mentre a Sydney l’indice S&P/ASX 200 ha perso lo 0,04%. In Cina il quadro è stato contrastato: lo Shanghai Composite è salito dello 0,34%, l’indice SZSE Component ha guadagnato lo 0,81% e il DJ Shanghai lo 0,26%, mentre il China A50 ha ceduto lo 0,08%. A Hong Kong l’Hang Seng ha limato lo 0,17%, segno di una cautela che continua a pesare in particolare sui titoli internet e immobiliare.

Nel resto della regione la fotografia è stata altrettanto eterogenea. A Taipei il Taiwan Weighted è balzato dell’1,85%, sostenuto dai colossi dei chip e dall’ennesimo afflusso di capitali esteri. A Seul invece il KOSPI ha accusato un deciso -1,51%, complice la presa di beneficio sui titoli tecnologici dopo il rally delle ultime settimane. Nel Sud-Est asiatico l’indice indonesiano IDX Composite ha perso lo 0,35%, mentre in Vietnam il VN 30 ha chiuso in calo dello 0,17%, con volumi ridotti. In India, infine, gli indici Nifty 50 e BSE Sensex hanno terminato la seduta in lieve rialzo, entrambi con un +0,05%, a ridosso dei massimi storici.

“È un finale di mese più tiepido rispetto al rally che abbiamo visto finora, ma non è un segnale di fuga dal rischio: i portafogli si stanno semplicemente riequilibrando dopo una corsa molto intensa”, osserva un gestore di un grande fondo asiatico con base a Hong Kong, sottolineando come i flussi restino complessivamente favorevoli agli asset di rischio dell’area.

Tokyo in apnea tra yen debole e attesa per la BoJ

La Borsa di Tokyo è rimasta sostanzialmente ferma, schiacciata tra due forze opposte. Da un lato, uno yen ancora debole rende più competitivi gli esportatori giapponesi e sostiene i profitti delle grandi aziende manifatturiere; dall’altro, la prospettiva che la Bank of Japan possa muoversi gradualmente verso una normalizzazione dei tassi limita l’aggressività degli acquisti, soprattutto sui titoli più ciclici.

Il cambio dollaro/yen si è mantenuto intorno a quota 156,3, con la valuta giapponese solo leggermente più forte rispetto ai giorni scorsi. Il cambio euro/dollaro è rimasto nella fascia di 1,15-1,16, con l’euro che oscilla ma non riesce a staccarsi nettamente dalla parità psicologica di 1,15. I trader leggono questi livelli come il segnale di una fase di transizione: la narrativa dominante resta quella di una Federal Reserve che, prima o poi, dovrà iniziare a tagliare i tassi, ma il calendario preciso di questo cambio di rotta è ancora oggetto di scommesse.

“L’Asia sta cercando di capire quanto siano reali le aspettative di tagli dei tassi negli Stati Uniti: finché non ci sarà un segnale più chiaro da parte della Fed, il dollaro resterà forte ma vulnerabile a improvvisi rimbalzi delle valute locali”, commenta un analista valutario da Singapore.

Cina senza direzione, Taipei superstar, Seul zavorrata

Il blocco cinese continua a muoversi a passo lento. I rialzi moderati di Shanghai e Shenzhen segnalano che gli investitori domestici tornano a selezionare titoli legati ai consumi e alla tecnologia, ma la performance negativa del China A50, barometro dei grandi gruppi quotati, indica che il mercato resta diviso sulla capacità di Pechino di rilanciare la crescita in modo duraturo.

Su Hong Kong pesa ancora la debolezza del comparto immobiliare e la fiducia fragile degli investitori internazionali, che hanno ridotto l’esposizione al territorio rispetto agli anni d’oro della piazza finanziaria. L’Hang Seng, con il suo -0,17%, sintetizza bene questo stato d’animo: nessun tracollo, ma neppure la convinzione di avere di fronte un vero punto di svolta.

All’estremo opposto, Taipei resta il vero magnete della regione. Il balzo dell’1,85% del Taiwan Weighted conferma il ruolo centrale della filiera dei semiconduttori nelle strategie globali sull’intelligenza artificiale e sui data center. “Chi vuole esporsi al tema AI in Asia, oggi non può prescindere da Taiwan”, sottolinea un gestore specializzato in tecnologia con base a Londra, ricordando come i grandi fondi globali continuino ad aumentare la quota di portafoglio destinata alla piazza taiwanese.

Più cupo il quadro in Corea del Sud. Il calo dell’1,51% del KOSPI riflette la presa di beneficio dopo una lunga serie di sedute positive e qualche timore sulla sostenibilità delle valutazioni dei big tecnologici locali. Gli investitori temono che un eventuale rallentamento del ciclo globale dei chip possa penalizzare Seul più di altri mercati, proprio perché il listino è fortemente concentrato su pochi nomi ad altissima capitalizzazione.

Mumbai tiene il ritmo, Sud-Est asiatico in ordine sparso

In India, le Borse hanno confermato la loro resilienza: il Nifty 50 e il BSE Sensex hanno messo a segno un timido +0,05%, sufficiente però a mantenere gli indici in prossimità dei massimi storici. Il mercato indiano continua a beneficiare della narrativa di lungo periodo su crescita demografica, digitalizzazione e riforme strutturali, che ne fanno la destinazione privilegiata di molti investitori alla ricerca di un grande mercato emergente relativamente sganciato dal ciclo cinese.

“Il flusso di capitali verso Mumbai resta solido: ogni correzione viene letta come occasione di ingresso, più che come l’inizio di un’inversione di tendenza”, evidenzia un broker di stanza proprio a Mumbai, secondo cui gli investitori domestici stanno assumendo un ruolo sempre più determinante nel sostenere i listini.

Nel Sud-Est asiatico, invece, il quadro resta frammentato. In Indonesia l’IDX Composite ha perso lo 0,35%, riflettendo i timori su inflazione e tassi interni. In Vietnam il VN 30 ha segnato un -0,17%, con il mercato che continua a oscillare tra storie di crescita di lungo periodo e timori sui rischi regolamentari e geopolitici.

Valute tra Fed e banche centrali asiatiche

Il dollaro resta il perno della partita. Dopo una fase di indebolimento nelle ultime settimane, legata all’idea che la Federal Reserve possa allentare la presa sui tassi già nei prossimi mesi, la divisa Usa ha ritrovato parte della propria forza, soprattutto contro yen e valute emergenti asiatiche. Il cambio dollaro/yen in area 156 e l’euro/dollaro poco sopra 1,15 descrivono un mercato che non ha ancora il coraggio di prezzare un taglio dei tassi ravvicinato, ma che neppure crede più a uno scenario di tassi “più alti più a lungo” per tutto il 2026.

“Le valute asiatiche restano sotto pressione, ma la fase più violenta di rafforzamento del dollaro sembra alle spalle; ora ci muoviamo in un corridoio di attesa in cui ogni dato su inflazione e lavoro Usa può cambiare rapidamente il sentiment”, nota un economista di una grande banca internazionale a Singapore.

In questo contesto, diverse banche centrali dell’area devono scegliere tra difesa del cambio e sostegno all’economia. Il Giappone resta il caso più osservato: un eventuale rialzo dei tassi della Bank of Japan, dopo anni di politica ultra-espansiva, potrebbe ridisegnare i flussi globali di capitale e ridurre l’appeal del carry trade in yen, con ricadute su tutte le Borse asiatiche.

Oro superstar, petrolio in apnea, gas ai minimi europei

Il vero protagonista della seduta è stato l’oro. Il prezzo spot del metallo giallo in Asia si è spinto intorno a 4.180-4.190 dollari l’oncia, avviato verso il quarto mese consecutivo di guadagni. L’oro beneficia di un mix potente: aspettative di tagli dei tassi negli Stati Uniti, tensioni geopolitiche persistenti e la ricerca di coperture contro l’eventuale ritorno di un’inflazione più ostinata.

“L’oro si è ormai consolidato come l’assicurazione preferita dei portafogli globali: finché la Fed non indicherà una traiettoria chiara sui tassi, i compratori avranno pochi motivi per rallentare”, spiega un analista delle materie prime a Singapore, sottolineando come molti investitori istituzionali stiano aumentando la quota di metallo prezioso a scapito dei titoli obbligazionari a lunga scadenza.

Molto più complicato il quadro per il petrolio. Il WTI viaggia attorno a 59 dollari al barile, mentre il Brent oscilla in area 63 dollari. I prezzi rimangono compressi da un lato dal timore di un eccesso di offerta, dall’altro dal rallentamento di alcune grandi economie importatrici e dalle incertezze legate ai negoziati internazionali sulla guerra in Ucraina e alle decisioni in arrivo dall’OPEC+. Per il mercato dell’oro nero si profila il quarto mese consecutivo di calo, la serie negativa più lunga da oltre due anni.

Nel gas naturale la situazione è speculare: in Europa il riferimento TTF si muove intorno ai 29 euro per MWh, livelli molto inferiori rispetto ai picchi delle crisi energetiche degli anni scorsi, mentre negli Stati Uniti il future sul gas Henry Hub gravita attorno a 4,6 dollari per MMBtu. Per le economie asiatiche importatrici di energia, questo quadro di prezzi relativamente moderati su petrolio e gas rappresenta un sostegno importante ai conti esterni e alla lotta contro l’inflazione.

Futures europei cauti tra blackout al CME e dati Usa

Mentre l’Asia chiude, l’Europa si prepara ad aprire con un tono leggermente positivo. I futures sull’Euro Stoxx 50 si muovono attorno a 5.665 punti, in lieve rialzo di circa lo 0,05%, a segnalare un avvio moderatamente costruttivo per i principali listini dell’area euro. I futures sul DAX tedesco viaggiano poco sotto 23.850 punti, con un progresso frazionale, mentre i futures sul FTSE 100 di Londra indicano un’apertura di circa lo 0,2% sopra la chiusura precedente.

Gli operatori europei, però, si trovano a fare i conti con un elemento di incertezza in più: un importante blackout tecnico ha colpito i sistemi del CME Group, uno dei principali mercati mondiali dei derivati, congelando per ore le quotazioni di numerosi futures su valute, materie prime, Treasury e indici azionari Usa. La mancanza di prezzi di riferimento affidabili ha costretto molte case di brokeraggio ad affidarsi a sistemi interni di pricing, aumentando la percezione del rischio operativo.

“Non è l’evento che manda in tilt i mercati, ma è un promemoria brutale su quanto il sistema globale dei derivati sia concentrato su poche infrastrutture critiche”, commenta un risk manager di una banca d’investimento europea con sede a Francoforte. Per gli investitori del Vecchio Continente, questo incidente è un motivo in più per mantenere un posizionamento prudente in vista delle prossime sedute, in attesa del pieno ripristino della normale operatività.

Cosa guarda ora l’Europa

Nel passaggio di testimone tra Asia ed Europa, il messaggio che arriva dai listini orientali è duplice. Da un lato, non si vedono segnali di panico: la maggior parte degli indici si muove in un corridoio ristretto, la volatilità è sotto controllo e i flussi verso gli asset rischiosi, in particolare tecnologia e semiconduttori, restano robusti. Dall’altro, la combinazione di dollaro ancora forte, oro ai massimi, petrolio in affanno e blackout sui derivati di Chicago invita alla prudenza.

Per la giornata europea, gli operatori guarderanno in particolare a tre variabili: eventuali nuovi segnali sulla traiettoria dei tassi della Federal Reserve, gli sviluppi sul fronte energetico – tra OPEC+ e prezzi del gas TTF – e la velocità con cui il mercato dei futures Usa tornerà a pieno regime dopo il problema tecnico. Nel complesso, l’ultima seduta di novembre si presenta come un test di maturità per i mercati: dopo settimane di rally, bisogna dimostrare di saper gestire un contesto in cui le buone notizie sui tassi si mescolano a rischi operativi e geopolitici non trascurabili.

Per gli investitori europei, il segnale che arriva dall’Asia è chiaro: la voglia di rischio non è scomparsa, ma sta diventando più selettiva. Chi saprà muoversi con disciplina tra azioni di qualità, coperture in oro e attenzione ai costi energetici potrà trasformare questa fase intermedia non in una semplice pausa, ma in un’opportunità per costruire portafogli più robusti in vista del 2026.

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