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Amazon-fisco, intesa da 723 milioni: cosa cambia davvero

- di: Marta Giannoni
 
Amazon-fisco, intesa da 723 milioni: cosa cambia davvero

Maxi esborso per chiudere tre fronti con il Fisco. E il segnale all’economia digitale è chiarissimo.

(Foto: pacchi Amazon).

Una cifra che da sola vale una mini–manovra: 723 milioni di euro. Tanto pagherà Amazon al fisco italiano per chiudere tre diversi contenziosi, tra rilievi sull’IVA delle operazioni della holding lussemburghese e accertamenti su società italiane del gruppo. Un accordo che segna un nuovo capitolo nella lunga partita tra grandi piattaforme globali e amministrazioni fiscali nazionali.

Tre dossier, un solo maxi accordo

Il cuore dell’intesa è rappresentato da un primo filone, il più pesante dal punto di vista economico: circa 511 milioni di euro legati alla holding lussemburghese del gruppo. Al centro, la normativa europea che impone ai gestori di piattaforme digitali la comunicazione delle transazioni ai fini IVA, in modo da permettere ai singoli Stati di tassare correttamente le operazioni dei venditori che utilizzano il marketplace.

Secondo l’impostazione dell’amministrazione finanziaria italiana, Amazon non avrebbe fornito in modo completo e tempestivo le informazioni sulle transazioni dei cosiddetti “terzi”, in particolare nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021. Da qui la richiesta di sanzioni e interessi, che l’accordo quantifica appunto in oltre mezzo miliardo.

Gli altri 212 milioni di euro riguardano invece due società italiane del gruppo – Amazon Logistica e Amazon Italia Transport – e chiudono accertamenti condotti dai reparti antifrode dell’Agenzia delle Entrate. Sul tavolo, una combinazione di profili fiscali e organizzativi legati al modo in cui vengono utilizzati lavoratori e strutture in Italia, in un quadro che le autorità considerano parte delle nuove frontiere del controllo sull’economia digitale.

Dalle ipotesi miliardarie al compromesso da 723 milioni

In fase di indagine, le cifre ipotizzate erano ben più elevate. Tra ricostruzioni di imposta, sanzioni cumulate e interessi, si era arrivati a ventilare importi complessivi nell’ordine di diversi miliardi. Il negoziato con il Fisco ha portato a un compromesso che consente allo Stato di incassare una somma molto significativa e al gruppo di togliere dal tavolo alcune delle incertezze più pesanti in ambito tributario.

Dal punto di vista tecnico, non si parla soltanto di evasione classica, ma di un quadro più sfumato in cui a essere contestata è soprattutto la mancata o incompleta comunicazione di dati, che rende più difficile la corretta applicazione dell’IVA da parte dei venditori terzi. Per questo la multinazionale viene chiamata a rispondere, in via solidale, di imposte che formalmente sarebbero dovute da altri soggetti economici.

La linea di Amazon: collaborazione sì, ma battaglia sul penale

Da parte sua, il gruppo americano rivendica una linea di collaborazione con le autorità italiane sul piano amministrativo, ma annuncia che si difenderà con fermezza sul fronte penale, dove le contestazioni della Procura restano aperte.

In una nota, Amazon sottolinea di essere tra i primi 50 contribuenti del Paese e uno dei principali investitori esteri in Italia: negli ultimi quindici anni, secondo i dati diffusi dalla società, nel nostro Paese sarebbero stati investiti oltre 25 miliardi di euro, con più di 19.000 dipendenti assunti direttamente.

L’azienda avverte però che norme imprevedibili, sanzioni considerate sproporzionate e procedimenti legali lunghi pesano sulla capacità dell’Italia di attrarre nuovi investimenti. Un messaggio che guarda oltre il singolo caso e punta a influenzare il dibattito su come regolare i colossi del digitale senza allontanarli dal mercato nazionale.

Il fronte penale e gli altri procedimenti

Nonostante l’intesa sul piano tributario, la partita giudiziaria non è chiusa. Le procure competenti continuano a esaminare i profili penali delle condotte contestate, con ipotesi che, secondo quanto trapela, potrebbero ancora ruotare attorno a schemi di frode fiscale di dimensione rilevante.

Il maxi accordo da 723 milioni si inserisce in un contesto più ampio, in cui il gruppo ha già proceduto in passato a versamenti significativi per archiviare altri filoni di indagine legati alla combinazione di questioni fiscali, contributive e di organizzazione del lavoro nella logistica e nel trasporto.

Campari, un’altra grande azienda nella rete del Fisco

In parallelo al caso Amazon, anche un altro grande nome dell’industria italiana, Campari, si prepara a chiudere un proprio contenzioso fiscale. La holding lussemburghese della famiglia di controllo sarebbe pronta a versare circa 400 milioni di euro per definire una verifica con il Fisco, secondo quanto filtra da ambienti finanziari.

Le prime indiscrezioni, che indicavano una possibile esposizione ancora più elevata, avevano pesato sul titolo in Borsa, poi parzialmente rimbalzato dopo il ridimensionamento delle cifre ipotizzate. Anche in questo caso, lo schema è quello di una definizione che consente di archiviare anni di incertezza fiscale, al prezzo di un esborso importante ma limitato rispetto alle peggiori attese.

Che cosa significa per l’Italia e per le big tech

L’intesa con Amazon manda un messaggio chiaro al mercato: l’Italia sta usando in modo sempre più incisivo gli strumenti di controllo messi a disposizione dalle nuove norme europee sull’e-commerce e sulle piattaforme digitali. La stagione in cui l’IVA sulle vendite online dei soggetti esteri passava quasi inosservata sembra definitivamente chiusa.

Per le multinazionali della tecnologia, il caso italiano è un promemoria: operare su larga scala in un Paese significa accettare non solo regole fiscali più stringenti, ma anche un livello di trasparenza e di collaborazione con le autorità molto più elevato rispetto al passato.

Resta da capire se, dopo gli accordi, prevarrà la logica di un quadro fiscale più chiaro e prevedibile o se invece le incertezze legate ai procedimenti penali e alle possibili interpretazioni restrittive finiranno per frenare parte degli investimenti. Di certo, con i 723 milioni che stanno per entrare nelle casse pubbliche, il Fisco italiano dimostra di aver trovato un’arma efficace per confrontarsi con i giganti globali del digitale.

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