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Scuola allo sbando: siamo arrivati al tiro al bersaglio

- di: Barbara Bizzarri
 
Il sonno della ragione genera mostri, la ragione di chi abdica al suo ruolo sostituendolo con un’emotività sempre condiscendente e quindi dannosa soprattutto a chi è diretta, e i mostri senza essere miti, come quelli che in una scuola di Rovigo sparano due volte con una pistola ad aria compressa a una professoressa mentre scrive, rischiando con questa vigliaccata di farle perdere un occhio. Scene di ordinaria follia, come il povero professore a cui anni fa rovesciarono in testa il cestino della spazzatura, tutte rigorosamente riprese e diffuse via cellulare, col sottofondo irritante e tragico di risate e schiamazzi, come se nessuno si rendesse conto della gravità di gesti che sottendono la gravità dei pensieri: è tutto un grande gioco, nessuno muore e nessuno si ferisce, un gigantesco videogame dove i morti saltano su più arzilli di prima. Questi quindicenni sono delinquenti ma fanno pena, sembrano le vacche senza campanaccio di almodovariana memoria, perché è evidente la mancanza di punti di riferimento e la presenza di genitori più confusi di loro, senz’altro poco rispettati ed evidentemente incapaci di educarli, che danno l’esempio con lo smartphone in mano e l’autorità di una lattuga bollita, sostenitori e complici instancabili dell’unica dittatura trasversale, quella dei ragazzini.  

Rovigo, sparano alla professoressa in classe: sospesi

Quasi sempre è la loro convinzione di aver generato un’intoccabile emanazione divina  a fregarli: che fai, insegni educazione civica a un bodhisattva? Purtroppo nessuno ha il coraggio di informarli che no, sono scemi, soprattutto gli adolescenti, esattamente come tutti gli altri, eppure non sia mai, l’agire e il volere dei sacri pargoli restano indiscutibili secondo il mantra che sono ragazzi e vanno capiti: del resto, a ripulire la scena del massacro del Circeo ci è andata la madre di uno degli assassini. Quello che sta succedendo nelle scuole italiane, da Rovigo a Napoli ad Ancona, fra accoltellamenti, pestaggi, sbevazzate di vodka durante la ricreazione e dileggio sistematico degli insegnanti, visti normalmente come una pletora di sfigati e pezzenti pure se si tratta di pubblici ufficiali, particolare che sfugge volentieri ai più, è l’epitome del fallimento più evidente della società italiana e della famiglia che ne costituisce la base: se la scuola è a pezzi, la famiglia non scherza e soprattutto si vive in un Paese dove la si fa sempre franca, assassini a spasso e ladri di mele dentro. Quindi perché essere brave persone, senza neanche il deterrente di una pena certa? Cinque giorni di sospensione per chi si presenta in classe con una pistola, pure se ad aria compressa, fanno ridere i polli, non c’è da stupirsi se la conclusione ovvia è che sia meglio cercare di fare soldi sui social, nuovo oppio dei popoli, con qualsiasi video, a qualsiasi costo.  Ci sarebbe da ristabilire ruoli, educazione e società perché sono questi i ragazzini che al primo no che qualcuno gli oppone tentano il suicidio, incapaci di farsene una ragione, dato che per loro è un’esperienza nuova e troppo traumatica da sostenere.

Non dico che ai miei tempi da studentessa, ovvero anni Ottanta e Novanta, fosse meglio, quando i professori erano assimilabili all’oracolo di Delfi e, con il muto assenso dei genitori che a casa completavano l’opera, potevano dire e fare qualsiasi cosa, talvolta con una crudeltà invereconda ed esagerata verso adolescenti che andavano al ginnasio, e addirittura prendere a schiaffi bimbetti delle elementari, episodi raccapriccianti di cui il ricordo è fin troppo vivo, eppure il totale lassismo imperante di questi tempi è l’immagine speculare di quanto accadeva allora ed è ugualmente nocivo, paradossalmente soprattutto per loro, i cocchi belli, fermo restando che quattro scapaccioni a volte possano essere molto terapeutici, in particolare se con certe bravate idiote si rischia di danneggiare una persona in modo permanente. In troppi non sanno chi siano veramente i loro figli, e spesso, preferiscono far finta di niente, ma chi glielo spiega che mica si può sempre contare sulle botte di fortuna per arginare il peggio. 
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