Plenisfer SGR: "Il gap tra la valutazione dell’oro e dei suoi produttori: una preziosa opportunità?"

 
In un recente commento abbiamo esaminato i fattori che influenzano il prezzo dell'oro: il più rilevante è l’acquisto di oro effettuato dalle banche centrali che dal 2022 supera le 1.000 tonnellate annue, ammontare che rappresenta circa il 30% della produzione annua*].

Se la correlazione storica fosse ancora in vigore, l'attuale livello dei tassi di interesse porterebbe a un calo di 500-600 dollari l'oncia nel prezzo dell'oro*, mentre dal 2022 l’oro ha seguito una traiettoria al rialzo, e oggi quota circa 2.300 dollari.

Un record, peraltro, solo apparente se confrontato con i valori del passato normalizzati all’inflazione: in occasione della crisi dei debiti sovrani, ovvero tra il 2011 e il 2014, l’oro ha, infatti, toccato i 2.500 dollari l’oncia*.

A fronte di questo trend positivo, può quindi sembrare un’anomalia la deludente performance azionaria dei produttori di oro: se negli ultimi tre anni l’oro è cresciuto del 31%, nello stesso periodo il valore del settore è rimasto invariato, nonostante un beta storico di 1,5 volte il prezzo dell'oro*.]

Ma per le società minerarie, potrebbe intravedersi una luce in fondo al tunnel.

Se in passato, il rapido apprezzamento dell'oro ha portato gli operatori a realizzare costose fusioni e acquisizioni e a prendere decisioni operative aggressive, nell’attuale ciclo la disciplina di bilancio è rimasta forte e orientata a privilegiare il free cash flow piuttosto che i ricavi. I livelli di spesa in conto capitale e di indebitamento sono, inoltre, oggi ben al di sotto dei livelli raggiunti nell'ultimo ciclo (2016-2021) e la maggioranza dei produttori ha un rapporto tra debito netto e EBITDA inferiore a 0,5*. In sintesi, oggi la maggior parte dei produttori storici mira a sostenere la produzione piuttosto che inseguire la crescita a ogni costo.

A cosa si deve, quindi, la deludente performance azionaria degli operatori? Alla contrazione dei margini, connessa all’aumento dei costi di produzione.

La domanda che ci poniamo oggi guardando al settore è quindi quanto sia probabile un miglioramento dei margini.

Da un lato le probabilità sono ovviamente legate all'andamento generale dell'inflazione, ma riteniamo che i costi sul fronte energetico e delle attrezzature potrebbero aver già raggiunto i massimi e che quindi il picco dell'inflazione dei costi sia alle spalle. In base alle indicazioni fornite dalle società, stimiamo inoltre che l'inflazione dei costi possa migliorare gradualmente nel 2025, in gran parte per effetto degli aumenti attesi della produzione.

Gli operatori hanno in ogni caso un altro asso nella manica, ovvero la possibilità di chiudere o cedere attività di estrazione ad alto costo. Una possibilità che vale soprattutto per gli operatori forti di un portafoglio diversificato di giacimenti minerari che potrebbero muoversi in questa direzione per migliorare la propria redditività.

Valutazioni al di sotto della media storica

Oggi i principali produttori di oro sono scambiati a 5,5 volte il rapporto tra Enterprise Value ed EBITDA 2025, ben al di sotto della media storica di 7-8 volte*. Dobbiamo tornare indietro di un decennio per ritrovare le ultime quattro volte in cui il divario tra il valore dell’oro e quello delle azioni delle società del settore è diventato così ampio*.

In quelle occasioni, abbiamo assistito a un successivo aumento medio del 25% del prezzo dell'oro e di oltre il 60% del principale ETF dedicato al settore*.

In conclusione, in Plenisfer pensiamo che, alla luce dei fattori descritti, vi sia un potenziale di apprezzamento delle società produttrici verso un più corretto allineamento con il prezzo dell’oro.


*Fonte: Bloomberg
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