Natalie N. Trevithick, responsabile delle strategie US Investment Grade di Payden & Rygel
- di: Natalie N. Trevithick, responsabile delle strategie US Investment Grade di Payden & Rygel
Nel corso dell’ultimo anno l’inflazione Usa è calata, ma resta ancora elevata e il mancato avanzamento verso il target del 2% ha portato il mercato a rivedere al ribasso le attese sul numero dei tagli dei tassi per il 2024 dai circa otto di inizio anno all’attuale uno. A nostro avviso, dovremo aspettare dicembre per assistere al primo taglio da parte della Federal Reserve: settembre sembra prematuro, a meno di un improbabile crollo dei prezzi, mentre novembre, all’indomani delle elezioni presidenziali, sembra poco realistico. Né è realistico pensare che la Fed possa alzare il livello target di inflazione oltre il 2%, per una questione di stabilità e di gestione delle attese del mercato.
Nonostante la riduzione degli spread e l’attuale scenario di tassi “higher for longer”, continuiamo a vedere forza nei bond corporate e, in particolare, negli emittenti Investment Grade, verso cui ci stiamo ponendo in maniera più aggressiva rispetto allo scorso anno. Si tratta di emittenti ben posizionati sul fronte del costo del debito, in quanto tendono a rifinanziare solo una piccola porzione del loro debito su base annuale, mentre la maggior parte è stata bloccata a tassi bassi durante l’epoca Covid, quando questi emittenti sono stati in grado di rifinanziare gran parte del debito a più lunga scadenza (10 o 30 anni). All’interno dell’universo Investment Grade, che da solo supera i 9.000 miliardi di dollari, la maggior parte delle aziende non prende in prestito il denaro in un’unica soluzione, aspettando che dopo trent’anni giunga a scadenza per rifinanziarlo, ma tende ad emettere debito di frequente, una o due volte all’anno, così da rifinanziare su base annuale solo il 6/7% della propria esposizione complessiva. Il costo medio di indebitamento è quindi aumentato solo leggermente, per questo, nonostante i tassi elevati, non abbiamo assistito ad un problema generalizzato di default di questo tipo di emittenti.
Se prima della grande crisi finanziaria del 2008 il costo medio di finanziamento degli emittenti Investment Grade era pari al 6% e un anno fa si aggirava intorno al 3,6%, ad oggi, con il rialzo dei tassi, il costo medio della cedola è del 4,2% circa. Facendo una media, il costo del debito è aumentato di soli 50 o 60 punti base, quindi le emissioni non stanno rallentando, sono solo cambiati i profili di maturity: se durante la pandemia, con i tassi bassi, veniva emesso molto debito a 20 e 30 anni, ora viene emesso più debito a breve termine, a due, tre o cinque anni. Confrontando il rendimento delle obbligazioni corporate Investment Grade a 3 mesi e quello a 10 anni, si osserva un’inversione della curva, segnale che tipicamente indica una recessione in atto, ma che oggi coesiste con una forte crescita del Pil Usa. Le aziende hanno gestito bene i bilanci e, anche se l’inflazione si è dimostrata più persistente del previsto, crediamo che la Fed sia in grado di orchestrare un soft landing, con conseguenze positive per le obbligazioni corporate.
Con il taglio dei tassi all’orizzonte e le obbligazioni corporate a 30 anni che rendono circa il 5,7%, oggi è un buon momento per estendere la duration del proprio portafoglio: mantenere queste posizioni a lungo termine porterà infatti benefici agli investitori in termini di apprezzamento dei titoli, qualora la Fed dovesse finalmente decidere di tagliare i tassi di riferimento. La parte anteriore della curva offre ancora rendimenti elevati, ma le scadenze più brevi comportano un rischio di reinvestimento, per questo l’ideale per gli investitori è mantenere un approccio equilibrato con alcune posizioni a long duration.