Operatori sanitari privati in Italia, Area Studi Mediobanca: redditività in calo ma ricavi superiori ai livelli pre-crisi

- di: Barbara Leone
 
Nel 2021 cresce il giro d’affari dei maggiori operatori privati: +15,2% sul 2020 e +6,3% sul 2019. Una ripresa non generalizzata, che vede un +44,1% per quanto riguarda la diagnostica medica e +6,7% per l’assistenza ospedaliera. Giù invece la riabilitazione (-0,3%) e le residenze assistite agli anziani (-0,2%). In generale nel 2022 è atteso un rialzo del 4% dei ricavi complessivi. Sono queste le principali evidenze che emergono dal nuovo report targato Area Studi Mediobanca, che si occupa dei maggiori operatori sanitari privati in Italia analizzando i dati finanziari dei 24 principali gruppi con fatturato individuale superiore a 100 milioni. La ricerca contiene inoltre un approfondimento sulle dinamiche più recenti e prospettiche della sanità italiana e un confronto internazionale. Dal report emerge che per i Paesi OCSE la spesa sanitaria media pro-capite si è attestata a circa $4.350 nel 2020 (9,8% sul PIL). Nel confronto internazionale gli Stati Uniti emergono con $11,9mila per abitante (18,8% sul PIL). L’Italia si colloca sotto la media in termini pro-capite con $3,7mila, mentre risulta allineata in rapporto al PIL (9,6%).

Nel 2022 atteso un rialzo del 4% dei ricavi complessivi

Relativamente alla sola spesa sanitaria pubblica il nostro Paese, con il 7,3% sul PIL nel 2020, si posiziona in Europa dietro a Spagna (7,8%), Regno Unito (9,9%), Francia (10,3%) e Germania (10,9%). In valore assoluto, la spesa sanitaria pubblica italiana è aumentata a prezzi correnti dai $78,5 miliardi di fine 2002 ai $127,8 miliardi di euro di fine 2021. L’ampia crescita media annua del periodo 2002-2006 (+6,4%) ha poi rallentato al +0,9% tra il 2012 e il 2019, per espandersi ulteriormente con la crisi sanitaria dell’ultimo biennio (+5,1%). Nel 2021 il 78,6% ($100,5mld) del valore complessivo è originato dalle strutture pubbliche e il 21,4% ($27,3mld) da quelle accreditate. La spesa erogata da quest’ultime mostra una crescita (+3,2%) superiore a quella dei presidi pubblici (+2,4%) nell’arco temporale 2002-2021, con l’eccezione del periodo emergenziale, segnato da numerose misure di potenziamento del SSN quali il reclutamento di personale, l’ottimizzazione delle prestazioni e l’adeguamento delle infrastrutture. Durante la pandemia la spesa delle strutture pubbliche è salita del 6%, rispetto al +2,1% di quelle accreditate. Se si includono le prestazioni in solvenza (aumentate dai $31,5mld del 2012 ai $36,5mld del 2021, +1,7% di crescita media annua) e la componente intermediata (cresciuta del 4,9% medio annuo a $4,5mld nel 2021), la spesa sanitaria complessiva ha totalizzato $168,8 miliardi nel 2021 (+4,9% rispetto ai $160,9mld del 2020). Nel 2020 il contributo dei cittadini (diretto e intermediato) alla spesa sanitaria complessiva si è attestato al 25% in Italia, rispetto al 14% in Germania, al 15% in Francia e al 19% nel Regno Unito. Il dato italiano dipende quasi integralmente dai solventi (23%), con il contributo delle assicurazioni fermo al 2%, inferiore al 5% medio per i Paesi OCSE. Le dinamiche demografiche rappresentano le principali variabili che determinano la domanda di servizi sanitari. Le statistiche internazionali evidenziano il costante invecchiamento della popolazione: nell’area OCSE, l’incidenza degli over 65 sul totale è passata dall’8,9% del 1960 al 17,8% del 2021, con previsione di raggiungere il 26,7% nel 2050. L’Italia (23,5%) ha un valore ampiamente superiore alla media OCSE, alle spalle del solo Giappone (28,9%), atteso in rialzo al 33,7% entro il 2050.

Sempre nell’area OCSE, la speranza di vita alla nascita ha guadagnato oltre 10 anni tra il 1970 e il 2021, risultando superiore agli 83 anni in otto Paesi. Il Giappone svetta ancora con 84,7 anni, seguito da Svizzera (84) e Corea del Sud (83,5). L’Italia è al nono posto (82,9 anni), preceduta da Spagna (83,3) e da altri quattro Paesi con 83,2 anni (Australia, Islanda, Norvegia e Svezia). Le strutture sanitarie operanti in Italia erano 28.980 nel 2021 (57% private e 43% pubbliche), in crescita di 2.898 unità sul 2010, cumulo dell’aumento dei presidi privati (+2.519 unità) e pubblici (+379). Circa la tipologia assistenziale, presentano un saldo negativo sia quella ospedaliera (- 170 unità) che la specialistica ambulatoriale (-857), con quest’ultima oggetto di un importante consolidamento nel decennio. Per contro, l’assistenza territoriale residenziale (dalle RSA ai centri specializzati in Alzheimer o altre patologie) è cresciuta di 1.831 unità, mentre l’altra assistenza territoriale di 1.550. Nel 2021 il numero dei posti letto per degenza ordinaria a disposizione del SSN è diminuito dell’8,6% sul 2020, attestandosi a 216,3mila unità (oltre a 12.027 posti in day hospital e 8.132 in day surgery), dopo la contrazione del 12,6% tra il 2010 e il 2019 (da 217mila a 190mila unità). Nel 2020 la rimodulazione delle prestazioni resa necessaria dalla pandemia per garantire i ricoveri urgenti e quelli non differibili ha causato una diminuzione del 22,1% delle dimissioni ospedaliere, scese a 6,5 milioni rispetto agli 8,4 milioni medi del triennio 2017-2019. La contrazione è stata più consistente nel day hospital (-29,4%), in particolare nel Sud Italia (-39,8%) (dati Istat).

In Italia la spesa nel long term care, inclusiva delle cure domiciliari, residenziali e semiresidenziali e palliative, ha totalizzato €16,3 miliardi nel 2020 (salendo a €16,9 mld nel 2021), sostenuta per €12,3mld dal settore pubblico e per €3,9mld dalle famiglie, mentre la quota coperta da regimi volontari di finanziamento si è fermata a €0,1mld. Nel 2021 i posti letto delle strutture residenziali e semiresidenziali sommavano circa 323mila unità (547 posti ogni 100mila abitanti). Sebbene la capacità ricettiva sia in crescita, tali valori collocano l’Italia in posizione arretrata rispetto a Germania (circa 900mila posti letto per anziani), Francia (700mila) e Spagna (375mila). Considerando le proiezioni demografiche, la carenza di posti letto nel nostro Paese è stimabile tra le 80mila e le 200mila unità entro il 2030. Per porvi rimedio sono necessari ingenti investimenti sia per la ristrutturazione delle strutture già esistenti sia per la creazione di nuove. Sono numerosi i gruppi esteri che hanno già investito in Italia, con una diffusa presenza di quelli francesi: Korian, Orpea, Groupe Maisons de Famille e Colisée. Il settore delle residenze sanitarie assistite (RSA) è ampiamente parcellizzato, con la prevalenza di operatori di piccole dimensioni e ampia presenza di strutture gestite da Onlus, Cooperative ed enti ecclesiastici. In Italia la classifica per numero di posti letto vede sul podio Segesta (Gruppo Korian) con 7mila posti (dati stimati), seguita da KOS (Gruppo Cir) con 6.200 posti e da S.O. Holding con circa 5.600. Escludendo le società consortili, sono stati individuati 28 player privati attivi nell’assistenza ospedaliera e distrettuale con fatturato individuale superiori a 100 milioni di euro nel 2021. Tra questi, 19 sono specializzati nell’assistenza ospedaliera, tre nella gestione di RSA (KOS, Segesta e S.O. Holding), tre nella diagnostica medica (Cerba Healthcare Italia, Synlab e C.D.I.) e tre nella riabilitazione funzionale (Don Gnocchi, Istituti Clinici Scientifici Maugeri e il San Raffaele di Roma). Al primo posto per ricavi si colloca Papiniano (1.633mln, holding del Gruppo Ospedaliero San Donato e Ospedale San Raffaele di Milano) che precede Humanitas (1.084mln), GVM - Gruppo Villa Maria (798mln), Policlinico Universitario A. Gemelli (787mln) e KOS (660mln). La diversificazione geografica più ampia spetta a KOS, S.O. Holding e Don Gnocchi, presenti in almeno nove regioni italiane, seppur con maggiore radicamento al Nord. Tra le ospedaliere si distinguono GVM e Gruppo Garofalo con attività, rispettivamente, in nove e otto regioni. Papiniano e Humanitas sono invece concentrati in Lombardia, con il primo attivo anche in Emilia-Romagna, dove sviluppa il 5,1% dei ricavi, e il secondo presente anche in Piemonte e Sicilia dove genera il 21% circa del fatturato.

Nel 2021 cresce il giro d’affari dei maggiori operatori privati

Solo otto tra gli operatori selezionati gestiscono strutture oltreconfine, trattandosi per lo più di presenze marginali. Fanno eccezione GVM, con 13 presidi esteri (di cui uno in Ucraina e uno in Russia) che realizzano il 14% dei ricavi nel 2021, e KOS con 47 RSA in Germania responsabili del 27% del fatturato totale. La ripartizione delle attività tra regime d’accreditamento e solvenza evidenzia una situazione variegata tra gli operatori. Nel 2021 l’incidenza minima dell’accreditamento è segnata da C.D.I. i cui servizi di diagnostica sono in massima parte intermediati da fondi integrativi e assicurazioni (41,8% dei ricavi complessivi), da privati (22,4%) e da aziende (11,4%). Tra gli altri player le spese dei solventi registrano una maggiore incidenza per KOS (36%) e IEO (35,4%), mentre il San Raffaele di Roma genera il 94% dei ricavi in accreditamento. Nel 2021 i ricavi aggregati dei 24 operatori per i quali sono disponibili i bilanci analitici completi sono stati pari a 8,8 miliardi di euro, in crescita del 15,2% sul 2020 e del 6,3% sul 2019. Queste variazioni seguono il calo annuo del 7,8% nel 2020, dipeso dalla sospensione parziale delle attività sanitarie e dal differimento delle ospedalizzazioni programmate non urgenti. Il superamento dei livelli pre-crisi non è stato tuttavia generalizzato: i ricavi sono saliti del 6,7% per gli operatori ospedalieri e del 44,1% per la diagnostica, mentre la ripresa non si è concretizzata per i player della riabilitazione (-0,3% sul 2019) e per i gestori di RSA (-0,2%).

Il valore aggregato della forza lavoro è aumentato del 4,5% nel triennio 2019-2021, sfiorando le 72 mila unità nel 2021. I numerosi bandi di assunzione indetti dalle ASL durante la pandemia hanno causato, tra gli operatori privati, una carenza di personale medico e paramedico. Il costo del lavoro aggregato dei maggiori operatori privati è così aumentato del 13,6% nel triennio, in virtù dell’ampio ricorso a personale interinale e all’erogazione di compensi aggiuntivi volti a trattenere i sanitari rispetto alle più allettanti offerte del settore pubblico. La redditività è in recupero, ma ancora inferiore ai livelli pre-pandemici: le misure di contrasto all’epidemia hanno causato un sensibile aumento dei costi di produzione, solo in parte coperti dai ristori previsti da apposite normative emergenziali. L’ebit margin aggregato è così risultato negativo nel 2020 (-0,6%), ma l’intensa campagna vaccinale e la minor virulenza del Covid-19 hanno consentito il recupero dell’attività clinica e il miglioramento dell’ebit margin salito al 3,7% nel 2021, seppur ancora inferiore al 6,0% del 2019. A livello di singola società, cinque gruppi chiudono in rosso il 2021, rispetto ai dieci nel 2020. Il ROE aggregato è in riduzione dal 7,2% del 2019 al 4,1% del 2021. I valori più elevati sono quelli di Humanitas (17,2%), della molisana Pro.Med (16,6%) e del San Raffaele di Roma (12,6%). La struttura patrimoniale nel 2021 permane complessivamente solida, con i debiti finanziari al 107,7% dei mezzi propri (111,4% nel 2019). Rimangono particolarmente elevate le disponibilità liquide che superano quota 1,8mld a fine 2021, pari al 39% dell’indebitamento finanziario. Le posizioni più solide sono quelle dei gruppi IEO, Auxologico Italiano, C.D.I., Salus, Istituto Don Calabria e Humanitas, con debiti finanziari pressoché assenti per il primo e inferiori al 30% del patrimonio netto per gli altri. La fine dello stato di emergenza sanitaria nel marzo 2022 e la contestuale riduzione delle limitazioni che hanno contraddistinto il biennio 2020-2021 hanno comportato una progressiva ripresa delle attività del settore sanitario e il contestuale recupero delle liste d’attesa accumulate durante il periodo pandemico. Le prime evidenze per il 2022 consentono di stimare una crescita del giro d’affari a livello aggregato dei maggiori operatori sanitari privati nell’ordine del 4% sul 2021, peraltro non generalizzabile a tutti i comparti: è il caso del settore delle residenze sanitarie assistite per le quali si stima un ritorno alla saturazione dei posti letto sui livelli pre-Covid non prima del 2025.
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