Malattie rare, almeno quattro anni per una diagnosi. Ricerca dove sei?

- di: Barbara Leone
 
Le chiamano rare, ma a ben vedere non sono esattamente una rarità. Messe insieme sono oltre seimila, infatti, le malattie rare ricordate ieri attraverso la Giornata mondiale istituita nel 2008 dall’European rare diseases organisation. Malattie tutte diverse tra loro, ma con un nefasto elemento in comune: la difficoltà di approdare ad una diagnosi tempestiva. Quattro anni è infatti il tempo medio necessario a capirle e diagnosticarle. Che a volte arriva fino a dieci anni, ed oltre. Un tempo decisivo, ma all’incontrario, per l’avvio della giusta strategia terapeutica e che può fare la differenza tra la vita e la morte. Ma soprattutto un tempo insopportabilmente infinito per tutti quei malati che si ritrovano a vivere, oltre alla malattia, il calvario dell’incertezza. Un calvario lento e distruttivo. Perché nella maggior parte dei casi avere una malattia rara vuol dire brancolare nel buio, vagando tra specialisti ed ospedali nella speranza di ottenere una risposta che non arriva mai. E quando arriva è molto spesso bello che tardi. Stiamo parlando di due milioni di italiani, di cui circa il 30% ancora non sa di che morte deve morire. Trecento milioni in tutto il mondo, trenta milioni nella sola Europa.

Malattie rare, almeno quattro anni per una diagnosi

Persone affette da malattie definite rare perché, dice la Ue, colpiscono meno di cinque persone su diecimila. Tra di esse la Sla, l’emofilia, l’atrofia muscolare spinale, l’anemia a cellule falciformi, la distrofia di Duchenne, la miastenia e la sclerodermia. Giusto per citarne qualcuna. Malati invisibili, non considerati per l’invalidità o alcun tipo di aiuto sino a diagnosi certa. Anche se immobilizzati a letto, anche se non possono lavorare. Nel 70% dei casi, poi, si tratta di pazienti in età pediatrica, il che se possibile rende ancora più insopportabile il velo d’incuria e rassegnazione che pare aleggiare attorno a questo immenso dramma che, ripetiamo, è raro solo sulla carta. Se poi pensiamo che per altre malattie, una su tutte il covid, ci si è sbrigati a trovare cure e vaccini.. bè, la rabbia si moltiplica all’ennesima potenza. Ben vengano, dunque, le belle iniziative che si sono svolte ieri, le tavole rotonde, le campagne di sensibilizzazione, i palazzi delle istituzioni illuminati di verde, fucsia e blu, colori simbolo delle malattie rare. Ma accendere un faro per un giorno l’anno a poco serve a chi lotta 365 giorni su 365 contro un nemico che molto spesso non ha nemmeno nome e cognome. Semplicemente perché, evidentemente, combatterlo non equivale a far cassa a chi sulla salute della gente deve guadagnare fiumi di soldoni. Il sospetto che questi vengano considerati malati di serie B c’è, ed è piuttosto chiaro. Lasciati così come sono in balia delle onde e del destino, quasi sempre crudele. Così com’è chiaro che la ricerca fa miracoli solo quando ben catechizzata. Perché di raro, in certi casi, c’è solo il buon senso.
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