Ma per la Chiesa la diversità non era una ricchezza?

- di: Barbara Leone
 
“Lasciate che i bambini vengano a me”. Lo dice esplicitamente Gesù, alla faccia dei discepoli che volevano tenerli fuori nel loro chiudersi a riccio col Maestro. Chissà, magari perché disturbavano troppo. Forse il parroco che ha negato la Prima Comunione ad un bambino che, essendo autistico, in capa a lui (al prete, ovviamente) avrebbe rovinato il Sacramento agli altri bambini dovrebbe darsi una ripassatina al Vangelo. E magari anche all’intero senso della sua vocazione. E’ successo a Silvi, in provincia di Teramo, dove un sacerdote ha deciso di escludere il bimbo dalla cerimonia di gruppo perché, a suo dire, troppo vivace. Durante le prove, infatti, sembra che il piccolo avesse urtato un cero facendolo cadere. Forse per la contentezza, chissà. O forse perché sì: i bambini autistici sono bambini speciali e a volte hanno comportamenti eccessivi che in certi casi possono anche destabilizzare. Questo lo capiamo, lo capiamo eccome ed è inutile nascondersi dietro a un dito. Fatto sta che al prete in questione è partito qualche neurone. Perché senza pensarci un attimo ha preso i genitori del bimbo da parte proponendogli una cerimonia in separata sede. Da solo. E da solo l’ha ricevuta, ma in un’altra chiesa perché, giustamente, i genitori si sono sentiti un pizzico. E vorrei ben vedere! Dal canto suo il prete si è giustificato dicendo che durante le prove il bambino disturbava, la madre non riusciva a tenerlo e così avrebbe rovinato la cerimonia a tutti gli altri bambini. Bell’insegnamento, Don! Perché sarebbe stata l’occasione perfetta per insegnare a quei bambini che non esistono i diversi. Che siamo tutti uguali, tutti figli dello stesso Dio. E che, anzi, un compagno in difficoltà va accolto con ancor più amore e tenerezza. Infondo avrebbe solo dovuto ricordarsi le parole del Papa quando dice: “La diversità è ricchezza, la Chiesa accolga tutti o chiuda le sue porte”. La porta, questo prete, l’ha chiusa solo ad uno. E non ci ha fatto di certo una bella figura. Nessuno lo vuol mettere in croce perché tutti sbagliamo, compresi i preti. E però non è un caso isolato.

Manco a farlo apposta, è notizia di questi giorni la denuncia di un gruppo di genitori romani i cui figli sono stati respinti da ben tredici licei della Capitale perché disabili. “Non sono in grado di fare grandi cose, perché iscriverli qui?”, sarebbe stata la risposta degli istituti. Al punto che il ministro Valditara ha inviato gli ispettori. La sensazione è che sia proprio la diversità ad esser percepita come un problema. E invece è un valore aggiunto, innanzitutto per noi. Tornando a quel “simpaticone” di prete, fondamentalmente la domanda è una: ma nel corso della catechesi non si era accorto che il bambino che poi ha escluso poteva eccedere in vivacità? Era a conoscenza delle sue problematiche sin dall’inizio. E allora perché non porre la questione prima, magari anche con gli altri genitori e, soprattutto, con gli altri bambini? Che magari con la loro fantasia e spesso innata generosità avrebbero trovato una soluzione a quello che per lui era un problema. E che problema per loro non è. La verità è che viviamo in una società dove dire e fare non vanno quasi mai a braccetto. Tutti bravi a riempirsi la bocca di belle parole finchè le cose filano lisce. Ma al primo inghippo vanno fuori di testa. E di cuore. La cosa incredibile è che, appena la storia ha fatto il giro del web, è partita l’operazione rattoppo del buco. Che, come sempre, è peggio del buco. E così il bambino è stato invitato a partecipare ad una gita in direzione Vaticano per andare a trovare il Papa. Tutti contenti? Manco per niente. Perché ciò che conta ed amareggia è la prima mossa. Quella istintiva, di pancia: la separazione del bimbo autistico dai bimbi “normali”. Di fronte al clamore ora è tutto un “oh non lo sapevo! Oh ma non ci siamo capiti! Oh andiamo dal Papa! Facciamo un giro sulla luna”. E dire che la luna quasi sempre è a un soffio da noi. E’ il nostro prossimo, quello da amare come noi stessi, come disse qualcuno che, evidentemente, al giorno d’oggi verrebbe abbondantemente sbeffeggiato. E la storia si ripete. 
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