Il ministro Giorgetti, solo approccio proattivo non trasforma la tecnologia in minaccia

 
Solo un approccio proattivo non trasforma la tecnologia in minaccia. Stare fermi, ovvero essere inerti, vuol dire slittare indietro”. Il ministro dell’economia e delle finanze è intervenuto oggi in videocollegamento ai lavori del Festival del cambiamento di Trieste, organizzato dalla Camera di commercio Venezia Giulia in collaborazione con The European House Ambrosetti.

L’intervento del ministro

È un piacere portare il mio saluto a questo evento, seppure gli impegni istituzionali al Ministero mi abbiano impedito di essere a Trieste.

Avete davanti due giorni con un’agenda ricca di temi che vanno dall’evoluzione del lavoro all’andamento demografico, dall’intelligenza artificiale al quadro geopolitico.

Sono temi, a diverso titolo, ogni giorno sulla scrivania del Ministro dell’economia.

Parto da questa considerazione per permettervi di inquadrare il contesto nel quale il Governo definisce la politica economica, tenendo insieme 2 dimensioni:

la prima è quella della gestione, che difficilmente potremmo definire ordinaria per un Paese che deve collocare sui mercati un debito di 2,8 trilioni di euro;
la seconda è quella della prospettiva, ovvero della proiezione di una grande potenza industriale quale è l’Italia.
Nel mio intervento proverò a portare un contributo sulla matrice comune dei temi del convegno: le persone e la tecnologia.

Partiamo dai dati. Istat ha confermato venerdì un andamento solido del mercato del lavoro:

- il tasso di occupazione ha raggiunto il 62,1%, record della serie storica,
- la disoccupazione è scesa al 7,2% (meno 0.2% rispetto a febbraio).
- Sono anche cresciute del 2,8% le retribuzioni su base annua, trainate dal settore industriale.


Sono numeri coerenti con l’andamento positivo del PIL, che si prevede in ulteriore crescita dello 0,3% nel trimestre. E sono numeri che attestano la bontà della strategia intrapresa dell’insediamento del Governo di premiare il lavoro, riorientando le risorse pubbliche dai bonus alla promozione dell’occupazione.

Allo stesso tempo, sarebbe miope affrontare il tema del lavoro solo sul piano congiunturale. L’Italia è immersa, come tutte le economie avanzate, nella “battaglia delle competenze”, ovvero nella sfida per formare, mantenere e attrarre risorse umane adeguate.

Le competenze sono infatti la dimensione su cui si gioca la competizione globale tra territori e tra Stati. Soprattutto per un’economia matura come la nostra, l’investimento sul capitale umano è la principale fonte di crescita endogena.

Le competenze oggi non sono solo più abilità tecniche ma sono sempre più abilità a saper imparare, ovvero a sapere adattare il proprio patrimonio conoscitivo all’evoluzione tecnologica.

Possiamo dire che la spesa per istruzione è per tutto questo una delle tipologie di “debito buono”. Ma è un investimento che si ripaga solo se non perdiamo, a favore di altri ecosistemi, le competenze che formiamo.

Per farlo, dobbiamo aumentare le imprese ad alto contenuto tecnologico e garantire profili salariali competitivi, grazie a recuperi di produttività. Sono obiettivi che richiedono uno sforzo congiunto dello Stato e soprattutto delle imprese.

So di rivolgermi a un uditorio sensibile.

L’effetto della tecnologia – e segnatamente della diffusione dell’intelligenza artificiale – sull’occupazione è incerto ma deve essere affrontato in modo meno remissivo di quanto avviene nel dibattito pubblico.

Vi do un esempio. 10 anni fa si guardava con timore a una mera sostituzione uomo-macchina che avrebbe spiazzato il lavoro operaio. In realtà, l’evoluzione è stata molto più articolata: lo Stato ha sostenuto con i diversi piani “4.0” un massiccio rinnovo di macchinari e di investimenti in competenze, che si è tradotto in incrementi di produttività, miglioramenti degli standard di sicurezza e nascita di nuove figure professionali.

Serve proseguire su questa strada con un passo ulteriore, ovvero aggiornare il Piano 4.0, da ancorare all’adozione di metodi di intelligenza artificiale per mantenere il vantaggio competitivo nei settori industriali.

Su questo – ovvero sulla costruzione di una via italiana all’AI – ha cominciato a lavorare la nuova Fondazione di ricerca “Ai4Industry” costituita dal Governo e che ho inaugurato venerdì.

Concludo aggiungendo che l’adozione di sistemi di digitalizzazione- quali quelli basati sull’AI – richiede competenze avanzate e riduce i differenziali di costo. Si tratta di condizioni favorevoli alle economie sviluppate rispetto ai paesi emergenti, che possono imprimere una nuova spinta ai processi di reshoring.

In questa fase, infatti, la forte accelerazione tecnologica - al contrario di quanto avveniva con la rivoluzione dell’ICT di 30 anni fa - si unisce a una forte decelerazione della globalizzazione e un conseguente accorciamento delle catene globali del valore.

Questa trasformazione investe un Paese manifatturiero come l’Italia e ancora più direttamente un’area come la Venezia Giulia, crocevia economico e culturale, creando nuove opportunità.

La condizione per non trasformare la tecnologia in minaccia resta quindi un approccio proattivo. Con la consapevolezza che stare fermi, ovvero essere inerti, vuol dire slittare indietro.

Per questo è importante il confronto promosso in questi due giorni. Per lavorare insieme su questi temi il MEF continuerà ad essere al vostro fianco.
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Italia Informa n° 2 - Marzo/Aprile 2024
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