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Carlo III, l’ultimo dei romantici

- di: Barbara Bizzarri
 
Alla fine ce l’ha fatta. E non parliamo della corona: quella, nonostante le cornacchie che auguravano lunga vita alla madre e breve a lui, o viceversa, Carlo l’avrebbe avuta in ogni caso. Il 6 maggio, al di là dell’incoronazione, è andato in scena il trionfo di una incredibile storia d’amore totalmente avulsa dai soliti clichés che rendono le storie d’amore interessanti ma tutte uguali e dimenticabilissime. Stavolta, lui è un principe, ma non azzurro: non bello, timido, appassionato di archeologia e di arte, cresciuto all’ombra di un padre affascinante ma duro e militaresco e di una madre regina e pure carismatica; già ecologista in tempi in cui l’amore per l’ambiente non si sapeva nemmeno cosa fosse, raccomandava di parlare alle piante, e tutti ridevano non potendo fare di più dato il rango, però se avessero potuto lo avrebbero interdetto. Lei, invece, non è neppure principessa. È goffa, sgraziata, appassionata di cavalli e campagna, una che ama la vita sportiva all’aria aperta ma non ha mai usato una crema con filtro solare, e si vede. Una ragazza pratica, che sa bene di non poter essere la sposa designata per un erede al trono: non è vergine, non è di alto rango, e il suo destino è mettersi il cuore in pace. Poco importa che sia simpatica, ironica, arguta e soprattutto che il suo amore si riveli nel tempo di una fedeltà granitica, come lei dirà molti anni dopo, durante le famose telefonate dello scandalo, in cui tutti si sono fermati ai dettagli più pruriginosi (chi è senza peccato scagli la prima pietra: chi non ha mai fatto una chiamata erotica? Finitela di fare i sepolcri imbiancati), tralasciando la frase più commovente, “soffrirei ogni pena per te, questo è amore e questa è la forza dell’amore”.  

In quei giorni, al futuro re tocca una fanciulla pura come la verdura di papà, bella e giovane, perfino più nobile di lui. Peccato che poi si riveli una lagna assoluta che non ha capito nulla del suo ruolo e, sentendosi trascurata, non trova di meglio da fare che buttarsi dalle scale, roba da chiedersi, ma questa benedetta ragazza l’avrà studiata, un minimo di storia, oppure le bastava fare la babysitter? Tra il principe e la principessa, manco a dirlo, finisce malissimo: segno che la bellezza, i vestiti griffati e l’allure da modella non garantiscono l’amore e nemmeno la felicità, e che per tutti, se, a parte l’aspetto, non c’è nulla da offrire, le rose dell’amore rischiano di trasformarsi ben presto in umeboshi.  Fatto sta che dopo il matrimonio, due figli, l’inevitabile divorzio e una lunghissima sequela di scandali, ripicche, liti e gelosie, la principessa esce di scena in modo tragico. Restano soltanto loro due, il principe e ‘l’altra donna’, soli contro tutto e tutti, l’Inghilterra li odia, la popolarità del futuro re è ai minimi storici. Chi non avrebbe ceduto sotto una pressione simile? Eppure, sono irremovibili. Un amore per cui lui, alla madre nonché regina che tentava di dissuaderlo, di convincerlo a tornare a casa, anzi, a Kensington Palace, risponde,” Camilla is not negotiable”. Chi non vorrebbe un uomo che per amore è capace di sfidare la monarchia britannica? Soprattutto in un’epoca storica in cui il massimo del coraggio da parte dell’altra metà del cielo è scegliere il ristorante, e non è neanche detto che poi offra la cena. Carlo e Camilla si sposano nel 2005: entrambi divorziati, le nozze sono semplicissime, quasi sottotono. Da lì comincia un lavoro di riconquista del popolo lento ma inesorabile, incentrato sul low profile, svolto con l’understatement di cui in Gran Bretagna sono maestri. Quella che la principessa infelice, divorata dalla gelosia, aveva definito “il mastino”, si rivela una donna d’acciaio, impegnata nel sociale, una colonna portante di cui il futuro re non può e non vuole fare a meno. Il tempo passa ma il loro legame, fra alterne vicende, continua dal 1971 e si rivela più forte di qualsiasi tempesta: si ritrovano sempre insieme fino a quando, in età avanzata, lui diventa re e lei, against all odds, regina, e non regina consorte come adombrato inizialmente, perché è lo stesso Carlo III che vuole così.

Durante la cerimonia di incoronazione, lui sembra stanco dopo una vita trascorsa in attesa perenne, si commuove per un attimo, riprendendosi subito, alla vista del figlio William, successore al trono, durante la cerimonia in cui diventa suo vassallo e con rito feudale lo bacia su una guancia. Quando il vescovo le piazza la corona in testa, invece, Camilla armeggia tutto il tempo con i capelli che le danno fastidio, sotto gli occhi attoniti dei puristi: però l’unico sorriso del re durante l’intera cerimonia dell’incoronazione è per lei, quando per un breve attimo i loro sguardi si incrociano.  Non voleva diventare regina, ed è l’unica che, palesemente, non è impressionata dall’opulenza di un rituale che sembra proiettare presenti e spettatori in un tempo antico. Non è Catherine che studia e si applica da anni per essere all’altezza del suo ruolo, ed è più perfetta di una vera regina perché ogni giorno deve dimostrare agli inglesi, così irriducibilmente snob, e al resto del mondo, che è andata ben oltre il suo stigma di nascita da commoner. No, Camilla si guarda attorno con aria incredula, si vede che vorrebbe essere altrove, sorride un po’ impacciata, saluta dal balcone con un ampio gesto come se vedesse arrivare gli amici al pub, ed è la dimostrazione vivente di quanto l’intelligenza di saper aspettare senza sfinire il prossimo, sport che sembra essere diventato l’attività principale dell’umanità, si riveli vincente alla lunga distanza, tanto da aver perfino conquistato, se non la simpatia, almeno la stima di quella stessa regina che, anni prima, aveva detto di non poter tollerare la sua presenza a Buckingham Palace. Improvvisamente, al termine della cerimonia, sovviene un ricordo del ginnasio, l’amato Virgilio che nelle sue liriche dimostra di aver compreso la natura umana e di averla descritta e liberata con la sua opera immortale. Nelle Bucoliche scrive, Omnia vincit amor. Noi eravamo ragazzini, e ridevamo, e ci lamentavamo della fatica delle traduzioni. Ancora non sapevamo che Virgilio aveva capito tutto. 
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