La prima presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, non usa mezzi termini. Davanti a numeri che raccontano un’emergenza mai risolta, parla di “dati ancora allarmanti” e di una mentalità che fatica a cambiare, di una società che, nonostante leggi e campagne di sensibilizzazione, continua a considerare le donne come un territorio da occupare, un oggetto di possesso e dominio.
Violenza sulle donne, Cassano: “Dati ancora allarmanti"
Le sue parole risuonano forti, perché arrivano da chi osserva ogni giorno, dai tribunali, il volto più feroce della violenza di genere. Non è solo questione di numeri – purtroppo sempre troppo alti – ma di un sistema culturale che non evolve abbastanza in fretta. La Cassazione, nei suoi report, ci ricorda che il femminicidio è solo l’atto finale di un processo lungo, che spesso comincia tra le mura domestiche, nei rapporti che dovrebbero essere di cura e protezione. È un percorso fatto di soprusi quotidiani, di parole che feriscono prima ancora delle mani, di una spirale che imprigiona le donne in dinamiche da cui è difficile, se non impossibile, uscire da sole.
Cassano parla di una “angusta concezione della donna”, e non è un modo di dire. È un confine stretto, tracciato da secoli di tradizione patriarcale, che ancora oggi resiste nei dettagli delle nostre vite quotidiane: nelle sentenze che giustificano, nelle opinioni che minimizzano, nei commenti che ridimensionano. “Era troppo geloso,” dicono. “Ma lei perché non lo ha lasciato prima?” chiedono. Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Quante volte si sposta la responsabilità sulla vittima, anziché sul carnefice?
Eppure, le storie si ripetono con una precisione sconcertante. Donne che denunciano e vengono ignorate, o che non denunciano perché sanno già che non troveranno protezione. Uomini che si sentono in diritto di controllare, umiliare, infine colpire. E quando l’ultima pagina di questa storia si scrive con il sangue, il copione mediatico si ripete: il raptus, la gelosia, la follia improvvisa. Mai il sistema, mai la società.
Cassano invita a una riflessione profonda, e lo fa in un momento in cui il tema della violenza di genere è al centro del dibattito, ma resta, di fatto, irrisolto. Servono leggi più severe? Forse. Servono più centri antiviolenza, più formazione nelle scuole, più strumenti di supporto per le donne che vogliono uscire da relazioni tossiche? Sicuramente. Ma serve soprattutto un cambiamento culturale, uno sguardo nuovo che restituisca alle donne quello che per troppo tempo è stato loro negato: libertà, autodeterminazione, rispetto.
E questo riguarda tutti. Riguarda le istituzioni, che devono garantire protezione e giustizia. Riguarda i media, che devono smettere di raccontare la violenza come un fatto isolato, come una tragedia inevitabile. Riguarda le famiglie, che devono educare i figli al rispetto e all’uguaglianza. Riguarda le donne stesse, che devono trovare il coraggio di riconoscersi e sostenersi a vicenda, senza paura di essere giudicate.
Perché la violenza sulle donne non è un problema delle donne. È un problema di tutti. E finché non lo capiremo davvero, continueremo a contare le vittime.