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L'Europa ha deciso i suoi vertici, dopo avere messo l'Italia all'angolo

- di: Redazione
 
L'Europa ha deciso i suoi vertici, dopo avere messo l'Italia all'angolo
L'Europa comunitaria ha deciso chi sarà a guidarla, scegliendo il presidente della Commissione, con la conferma di Ursula von der Leyen, e la nomina di António Costa a presidente del Consiglio europeo e di e Kaja Kallas Alto rappresentante per la politica estera.
L'Italia ha usato un doppio atteggiamento nella votazione, astenendosi sulla conferma dell'uscente von der Leyen, e votando contro la nomina di Costa e Kallas. Una scelta chiaramente politica, che segnala lo sconcerto italiano davanti all'atteggiamento dei ''vincenti'' - Popolari, Socialisti e LIberali - nella partita europea che hanno alzato una barriera davanti a Giorgia Meloni dal sapore di una rivalsa ideologica che non di reali motivazioni politiche.

L'Europa ha deciso i suoi vertici, dopo avere messo l'Italia all'angolo

Che l'Italia sia stata una vittima sacrificale di logiche che hanno ben poco a spartire con i principi dell'Europa unita lo dicono tante cose. Anche se la spiegazione ''plastica'' di accordi preconcetti e che sembrano un regolamento di conti politico è stata la circostanza che la discussione su cariche e candidati, che in passato sono state discretamente lunghe e faticose, ieri si è risolta in un'ora e mezza.
Novanta minuti per dire: non abbiamo bisogno dell'Italia.

E suonano quasi una beffa - pur se politicamente comprensibili - i sorrisi e i tappi di champagne fatti saltare, in senso figurato (ma, poi, chissà è accaduto nelle segrete stanze) , dal presidente del Ppe Weber e dal premier polacco Tusk, che hanno all'unisono, come due voci uscite dalla stessa bocca, espresso ''grande soddisfazione'' per il voto e, quindi, evidentemente, con il consolidato asse della maggioranza.
Che ha deciso da sola, non contemplando nemmeno la possibilità di confrontarsi con l'Italia e soprattutto il suo governo, quasi che il nuovo indirizzo politico del Paese fosse quasi come un cartellino rosso, una espulsione dal consesso di chi, in Europa, ha titolo a parlare, trattare, contribuire.

E' palese che l’astensione di Meloni sia un segnale politicamente importante, lasciando aperta la possibilità di un voto positivo del partito della premier, Fratelli d'Italia, magari interpretando positivamente la dichiarata - ma non resa concreta - disponibilità al dialogo.
Anche perché un ''no'' dell'Italia sarebbe un bruttissimo segnale. È per questo che non deve essere interpretato come un decisivo cambio di direzione il fatto che il premier polacco Tusk abbia sostituito, alle parole durissime usate verso Giorgia Meloni, toni più concilianti, quasi una sottolineatura di stima per il primo ministro italiano e il Paese, parlando di un malinteso. Affermazione che potrebbe suonare ambigua e ipocrita, come nella buona tradizione della politica, ma in qualche modo resa più ''commestibile, quando Tusk ha detto che ''non c’è Europa senza Italia, non c’è decisione senza Giorgia Meloni. Per me è ovvio''.
Belle parole, ma i fatti, almeno sino ad oggi, sono stati diversi.

Ora parte l'attesa per la ripartizione delle deleghe in seno alla Commissione, con Giorgia Meloni che fa capire di volere che per l'Italia ci sia un forte riconoscimento, come potrebbe essere quello di una vicepresidenza esecutiva, quindi con una proiezione importante in campo economico.
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