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Tumori, la posizione delle cellule decide l’aggressività

- di: Viola Giannotti
 
Tumori, la posizione delle cellule decide l’aggressività

Non solo mutazioni genetiche e fattori ambientali: l’aggressività dei tumori dipende anche da dove si trovano le cellule all’interno della massa tumorale. È quanto emerge da una ricerca condotta al Sylvester Cancer Center dell’Università di Miami dai ricercatori italiani Antonio Iavarone e Anna Lasorella e pubblicata sulla rivista Cancer Cell. Un risultato che apre una nuova prospettiva per la comprensione dei tumori solidi, in particolare del glioblastoma, la forma più aggressiva di tumore al cervello.

Tumori, la posizione delle cellule decide l’aggressività

Grazie all’utilizzo della trascrittomica spaziale, una tecnologia di ultima generazione capace di mappare le cellule nel loro contesto originario, i ricercatori hanno analizzato migliaia di cellule tumorali. È emerso che quelle che si aggregano al centro della massa sono meno pericolose, mentre le cellule che rimangono isolate ai margini mostrano una maggiore “plasticità”, cioè la capacità di adattarsi, cambiare identità e diffondersi con più facilità. Proprio questa plasticità le rende responsabili della crescita del tumore e della sua resistenza alle terapie.

«Riteniamo che questo principio sia di importanza generale per i tumori solidi»
ha spiegato Iavarone, «perché fornisce una risposta al motivo per cui alcune cellule diventano così aggressive».

Il paradosso delle terapie iniziali
Un punto particolarmente delicato della ricerca riguarda l’impatto delle terapie convenzionali. Trattamenti come chemioterapia e radioterapia, se somministrati nelle fasi iniziali, possono infatti rompere gli aggregati di cellule, favorendo così la dispersione delle unità più plastiche. In questo modo il tumore, invece di ridursi, può sviluppare un comportamento ancora più aggressivo.

Si tratta di un paradosso che spiega perché molti pazienti, pur rispondendo inizialmente alle cure, si trovino poi di fronte a recidive difficilmente trattabili. «Abbiamo scoperto come fanno le cellule dei tumori maligni del cervello a modificarsi in continuazione per evadere le terapie» ha aggiunto Iavarone.

Una strategia per contenere la malattia
Il lavoro di Iavarone e Lasorella non si limita alla descrizione del fenomeno, ma apre a nuove strategie terapeutiche. Se le cellule raggruppate sono meno letali, allora favorire la formazione e la stabilità degli aggregati cellulari potrebbe rappresentare un approccio innovativo. «Il nostro obiettivo – sottolinea Lasorella – è riuscire a mantenere le cellule tumorali in aggregati e, addirittura, a invertire la dispersione. Questo potrebbe ridurre la capacità del tumore di diffondersi e renderlo più vulnerabile alle cure».

L’idea, in altre parole, è trasformare l’architettura interna del tumore in un suo punto debole, sfruttando la biologia delle cellule invece di limitarsi a distruggerle indiscriminatamente.

Implicazioni più ampie e prospettive future
Sebbene lo studio si sia concentrato sul glioblastoma, i ricercatori hanno già verificato che gli stessi principi valgono anche per altri tumori solidi, tra cui quello del seno. La scoperta, dunque, non riguarda soltanto una malattia rara e particolarmente aggressiva, ma potrebbe diventare una chiave interpretativa universale per comprendere il comportamento dei tumori.

Dal punto di vista clinico, questa nuova consapevolezza potrà aiutare a ripensare i protocolli terapeutici, evitando trattamenti che, seppur efficaci nel breve periodo, favoriscono la selezione di cellule più pericolose nel lungo termine. Per la ricerca farmaceutica, invece, si apre la sfida di sviluppare farmaci in grado di stabilizzare gli aggregati cellulari o di impedire la dispersione delle cellule plastiche.

Una rivoluzione silenziosa
La ricerca è un esempio di come l’innovazione tecnologica – in questo caso la trascrittomica spaziale – possa portare a un cambio di paradigma nella lotta contro il cancro. Per decenni l’oncologia ha guardato soprattutto alla genetica e alle mutazioni: ora diventa sempre più evidente che il “dove” è importante quanto il “cosa”.

Se le future sperimentazioni confermeranno questi risultati, si aprirà la strada a una nuova generazione di terapie, capaci di disinnescare i tumori non soltanto attaccando le cellule maligne, ma anche controllandone la posizione e l’organizzazione.

Un cambio di prospettiva che potrebbe segnare un passo decisivo nella battaglia contro i tumori più aggressivi, con l’ambizione – per la prima volta – di ridurne la pericolosità senza distruggere necessariamente l’intera architettura cellulare, ma piegandola a favore del paziente.

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