Scioperi nei trasporti come il gioco della torre, chi butto giù?

- di: Redazione
 
Un cane che si morde la coda, un paradosso la cui via d’uscita è più difficile che risolvere il cubo di Rubik. La questione riguarda gli scioperi nei trasporti pubblici a causa della difficoltà di chiudere gli accordi sul rinnovo dei contratti di lavoro, perché il cane, ossia la mancanza di risorse delle aziende del settore per chiudere i contratti, si morde la coda, ossia tale scarsità riflette riflette il mancato pieno adeguamento all’inflazione delle tariffe del trasporto pubblico per non porre un ulteriore aggravio sui cittadini, già gravati dalla forte inflazione 2021-2022 e in parte 2023. Continuando con le metafore, è il gioco della torre, bisogna decidere se buttare giù i lavoratori oppure i cittadini visto che la soluzione che una volta si usava, ossia lo Stato finanziava di più le aziende di trasporto aumentando il debito pubblico, ma chiudendo i rinnovi contrattuali, non è più praticabile.
Come nota l’Osservatorio Conti pubblici italiani (Osservatorio Cpi, diretto da Giampaolo Galli, già Segretario Generale di Confindustria, e prima di lui da Carlo Cottarelli) in un report firmato da Francesco Scinetti, “la conclusione dei contratti nel settore dei trasporti sembra essere particolarmente difficile, con conseguenti frequenti scioperi. Una possibile causa di questa difficoltà è la scarsità di risorse finanziarie per le aziende del settore, che limita la concessione di un adeguamento salariale più consistente. A sua volta questa scarsità riflette il mancato pieno adeguamento all’inflazione delle tariffe del trasporto pubblico. Tra il 2020 e il 2024, a fronte di un’inflazione cumulata del 18,5%, le tariffe del trasporto pubblico locale sono aumentate solo del 9,7%, mentre quelle ferroviarie regionali del 12,5%. La mancata revisione delle tariffe, pur evitando oneri per i cittadini, rischia così di compromettere la sostenibilità economica dei gestori del trasporto pubblico, a meno di ricadere sui lavoratori del settore”.
Emerge dal report che negli ultimi anni i prezzi dei biglietti del trasporto pubblico locale e ferroviario in molte regioni e comuni italiani sono rimasti pressoché invariati nonostante l’aumento dei prezzi al consumo e all’ingrosso. Tra il 2020 e il 2024, l’aumento cumulato dei prezzi al consumo è stato del 18,5%. Nello stesso periodo, le tariffe dei mezzi pubblici locali sono cresciute in media del 9,7%, mentre quelle del trasporto ferroviario regionale hanno avuto un incremento solo di poco superiore (12,5%). 
Gli aumenti tariffari non sono stati omogenei sul territorio nazionale. Tra i venti comuni più popolosi d’Italia, solo Genova, Padova e Brescia hanno adeguato le tariffe dei mezzi pubblici con un aumento almeno in linea con l’inflazione. Nove città, tra cui Roma, Palermo e Bologna, hanno mantenuto inalterati i prezzi rispetto ai livelli pre-pandemia.
Per quanto riguarda i prezzi dei biglietti dei treni regionali, il quadro è solo leggermente migliore rispetto al trasporto pubblico locale. Solo Umbria, Liguria e Marche hanno adeguato i prezzi dei biglietti con un aumento in linea con quello dei prezzi al consumo. Tre regioni (Valle d’Aosta, Lazio e Sardegna) hanno mantenuto invariate le tariffe dei biglietti durante il periodo considerato. Le altre regioni si collocano in una zona intermedia, con incrementi tariffari moderati ma insufficienti a compensare pienamente l’aumento dei costi.
Il mancato pieno adeguamento delle tariffe all’inflazione – è scritto nel report dell’Osservatorio Cpi - potrebbe derivare dalla volontà dei decisori pubblici di non gravare eccessivamente sui cittadini. Tuttavia, tale politica finisce ora per riversarsi sui lavoratori del settore, o, nel caso in cui le richieste sindacali venissero accettate, sui conti delle aziende di trasporti, in gran parte pubbliche”.

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