La posizione prudente assunta dall’Italia sull’accordo di libero scambio tra Unione europea e Mercosur risponde a valutazioni prevalentemente economiche. Secondo il governo, firmare l’intesa nei prossimi giorni sarebbe prematuro perché mancano ancora strumenti in grado di attenuare gli effetti redistributivi dell’accordo, in particolare sul settore agricolo. Una cautela che non equivale a un rifiuto del trattato, ma che punta a ridurre il rischio di squilibri strutturali tra comparti e territori.
Accordo UE-Mercosur, l’Italia frena per ragioni economiche
Dal punto di vista macroeconomico, l’accordo UE-Mercosur promette un ampliamento significativo dei flussi commerciali. L’Unione europea potrebbe rafforzare le esportazioni di beni ad alto valore aggiunto – veicoli, macchinari, chimica, vini e bevande – verso i mercati sudamericani, migliorando le prospettive di crescita di alcuni settori industriali. Tuttavia, sul piano microeconomico, l’apertura del mercato europeo a prodotti agricoli come carne bovina, zucchero, riso, miele e soia comporta un aumento della concorrenza su segmenti caratterizzati da margini già compressi.
Il nodo della competitività agricola
Per l’Italia, come per la Francia, il tema centrale è la competitività delle filiere agricole. Le imprese europee operano in un contesto regolatorio più stringente, con costi più elevati legati a standard ambientali, sanitari e di welfare animale. Senza adeguati meccanismi di salvaguardia, l’ingresso di prodotti a basso costo dal Mercosur rischia di esercitare una pressione al ribasso sui prezzi interni, con effetti negativi su redditività, occupazione e sostenibilità delle aziende agricole.
Le richieste italiane: ridurre il rischio di shock
Le misure richieste da Roma – clausole di salvaguardia, un fondo di compensazione e un rafforzamento delle norme fitosanitarie – rispondono a una logica di gestione degli shock competitivi. Dal punto di vista economico, si tratta di strumenti volti a distribuire in modo più equilibrato i benefici dell’integrazione commerciale e a contenere i costi di aggiustamento per i settori più esposti. L’assenza di tali strumenti renderebbe l’accordo politicamente ed economicamente più fragile.
Italia tra industria ed export agroalimentare
La posizione italiana è resa più complessa dalla struttura del suo sistema produttivo. Da un lato, l’industria manifatturiera e una parte dell’agroalimentare di qualità potrebbero beneficiare di una maggiore apertura dei mercati sudamericani. Dall’altro, molte produzioni agricole di base rischiano di subire una concorrenza difficilmente sostenibile. In termini di politica economica, il governo cerca quindi di evitare che i guadagni concentrati in alcuni comparti si traducano in perdite diffuse in altri.
Il ruolo chiave nel Consiglio UE
Sul piano istituzionale, l’Italia assume un ruolo determinante. Con la Francia contraria, il via libera all’accordo richiede il sostegno di Paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione UE. Essendo il terzo Stato membro per popolazione, l’Italia è un attore chiave per la formazione della maggioranza qualificata. La sua posizione influenza direttamente il valore economico atteso dell’accordo e la credibilità dell’UE come partner commerciale globale.
Pressioni esterne e incertezza temporale
La Commissione europea e Paesi come Germania e Spagna spingono per una rapida approvazione, temendo che un rinvio riduca il potenziale economico dell’intesa e lasci spazio ad accordi alternativi con altri partner globali. Tuttavia, dal punto di vista italiano, anticipare la firma senza un quadro completo di tutele rischierebbe di trasferire sul sistema agricolo costi economici e sociali elevati nel medio periodo.
Uno slittamento come investimento negoziale
Il possibile rinvio della firma al 2026 viene quindi letto come una strategia negoziale. In termini economici, posticipare l’accordo serve ad aumentare la probabilità che l’integrazione commerciale produca un saldo netto positivo per l’economia italiana, riducendo le asimmetrie tra vincitori e perdenti. La sostenibilità dell’accordo, più che la rapidità, diventa così la variabile chiave per trasformare il Mercosur da rischio settoriale a opportunità di crescita.