Il prossimo decreto che sta per essere approvato punta a rallentare la curva dei contagi da Coronavirus in Italia dopo la netta impennata registrata nelle ultime settimane. E fra i vari settori che l'esecutivo andrà a toccare, c'è naturalmente quello del lavoro.
La volontà del Governo è ribadire che le imprese che hanno la possibilità di far lavorare i propri dipendenti in smart working, dovrebbero concederla in modo da non sovraccaricare non solamente uffici e luoghi di lavoro ma anche i trasporti pubblici che da dopo la fine dell'estate sono diventati una criticità.
Se infatti uno degli obiettivi del dpcm è quello di ridurre al minimo indispensabile spostamenti e assembramenti, quello del lavoro è un enigma che deve essere ancora risolto.
Il tentativo è quello di portare fino alla quota del 70% l'uso dello smart working per quanto riguarda la pubblica amministrazione ma questa decisione è stata già accolta con diverse polemiche: alla base di essere c'è un recente sondaggio ripreso dal Sole 24 Ore e effettuato su un pool di 3.000 imprese che aderiscono alla Confartigianato.
Circa il 69% delle piccole e medie imprese infatti lamenta diverse criticità per quanto riguarda l'accesso ai servizi pubblici che vengono gestiti con il lavoro da remoto, come confermato dal presidente della Confartigianato, Giorgio Merletti:
"Le molte difficoltà che sono state denunciate dalle piccole imprese nel nostro report sono la prova che la pubblica amministrazione ha l'obbligo di riorganizzarsi. C'è bisogno di consentire ai dipendenti di fare il loro lavoro in modo efficiente nonostante sia fatto da remoto. Non si può accettare che gli imprenditori debbano affrontare problemi di accesso ai servizi pubblici oltre a quelli causati dalle difficoltà per la crisi dovuta alla pandemia da Covid-19".
Nel sondaggio gli imprenditori stessi vedono lo smart working nella pubblica amministrazione che dà comodità a chi ne usufruisce ma porta effetti negativi per loro e per gli utenti visto il ridotto uso della tecnologia. Nel periodo del lockdown, la gestione dei flussi dei dati da parte degli uffici pubblici non è riuscita a migliorare gli interventi nei confronti delle imprese.
"La prova" - continua Merletti - "sta nell'erogazione dei contributi alle piccole e medie imprese. La pubblica amministrazione possiede i dati degli imprenditori che dall'anno scorso sono obbligati alla fatturazione elettronica ma non li ha usati. Questo li ha portati a lunghissimi iter burocratici per dimostrare di avere requisiti che in realtà erano già a conoscenza della PA".