La riforma del catasto? Solo una punizione per i piccoli proprietari

- di: Redazione
 
L'italiano medio ha quattro punti cardinali emozionali ai quali informa ogni sua azione e che, in ordine d'importanza, cominciano con la mamma, proseguono con la squadra del cuore, vanno avanti con l'automobile, per finire alla casa. Quattro elementi che l'italiano medio di cui sopra difende sino alla morte e, nel caso dell'abitazione, anche oltre, approntando tutti i percorsi per lasciarla - una volta raggiunti i Campi Elisi - ai figli senza che questo sia per loro un problema.
Ma ora sulla casa si addensano nubi che minacciano di tramutarsi non in una pioggerellina d'autunno, ma in un uragano. E questo sommovimento atmosferico ha un nome ben preciso, riforma del catasto, che rischia di diventare l'occasione per una rivolta di popolo.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, parlando davanti ai vertici di Confindustria, ha ribadito che il suo governo non ha assolutamente la volontà di fare gravare altre tasse sulle famiglie italiane, ma il fatto stesso che qualcuno lo abbia ipotizzato, mettendo nel mirino la casa, sembra dirla lunga sul fatto che essa, come al solito, venga considerata un bene su cui fare affidamento nel momento in cui lo Stato ha urgenza di fare cassa.

Alla stregua delle sigarette e della benzina, ma con l'aggravante di colpire quello che, per chi non è uno speculatore immobiliare, è il bene su cui fare affidamento perché offre garanzie e tranquillità per il futuro.

La riforma del catasto rischia di risultare una mannaia per i piccoli proprietari

Ma questa volta la situazione è diversa perché la riforma del catasto non sarebbe una soluzione, ma un male moltiplicando, da oggi e per molti anni a venire, i costi che gravano sulla famiglia proprietaria. Una tassa, peraltro, sebbene sotto forma di ricalcolo dei parametri, che punirebbe chi mettendo da parte un gruzzoletto o indebitandosi per 25/30 anni con una banca (che i soldi certo non li regala) ha comunque contribuito a fare marciare il Paese.

È forse arrivato il momento, a nostro avviso, non di pensare a nuove tasse (sia pure mascherandole come una rimodulazione delle fasce di imposizione), ma a ridisegnare l'architettura dell'intera materia fiscale per evitare che alcune categorie - come i proprietari delle case in cui abitano - vengano ad essere penalizzate molto più di altre, che magari riescono a sfuggire ad una imposizione, galleggiando tra società di comodo e prestanomi.

Quindi, uno Stato che governa non necessariamente deve spremere i suoi cittadini, se non sa fare fronte alle sue spese ed alle necessità della collettività, attingendo al capitolo delle tasse. Forse quella giustizia fiscale di cui si parla da decenni oggi potrebbe avere il suo momento ideale per essere affrontata, perché non appare normale che alcune categorie di professionisti dichiarino redditi ben al di sotto della soglie di sopravvivenza, a dispetto di un tenore di vita che non è certo da poveracci. È forse questo il nodo da sciogliere: se c'è chi prende in giro il fisco è solo perché l'attuale normativa glielo consente e, soprattutto, perché mancano veri deterrenti contro l'evasione. Forse se tutti pagassero il giusto non sarebbe necessario aumentare la pressione fiscale su chi non può fare altrimenti. Colpire la casa ulteriormente - come se le tasse attuali fossero basse in modo vergognoso - costituirebbe l'ennesima ingiusta punizione per chi non evade per il solo fatto probabilmente di non poterlo fare.
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