Reddito di cittadinanza: calano i percettori, ma resta il problema di come contrastare la vera indigenza

- di: Redazione
 
La notizia del sensibile calo del numero di coloro che percepivano il reddito di cittadinanza (meno 14 per cento) in fondo non è giunta inattesa, perché ci si aspettava che i nuovi paletti, decisi dal governo Meloni, avrebbero innescato come conseguenza naturale una contrazione di richiedenti e fruitori.
Un calo che, numeri alla mano, si è tradotto in un consistente risparmio per le casse dello Stato, quantificato in circa 81 milioni di euro al mese. Che, ammettiamolo, non è male in un momento storico particolare per il nostro Paese, alle prese con enormi problemi per accedere a quei fondi che, messi a disposizione dall'Ue, dovrebbero alimentare il Pnrr.

Reddito di cittadinanza: calano i percettori ma resta il problema indigenza

''Dovrebbero'' perché i ritardi sono troppi e, piuttosto che correre ai ripari, senza perdere tempo eccessivo in polemiche, da parte di alcuni esponenti della maggioranza è partita la solita manfrina di addebitare le colpe solo ed esclusivamente ad altri. Cioè, il governo precedente, quello guidato da Mario Draghi. Una pratica comune, nello scenario politico italiano (lo scaricabarile eretto a pratica quotidiana), che però sarebbe stato meglio evitare, perché non serve assolutamente a nulla.
Tornando al Reddito di cittadinanza, oltre al calo delle erogazioni, c'è da registrare anche quello delle richieste per accedervi. Secondo l'Osservatorio Inps, a febbraio il numero delle famiglie che hanno percepito l'assegno è calato di poco più di un milione (1.001,743, stando alle rilevazioni dell'Istituto) , il numero più basso da ottobre 2020. Lasciando stare ulteriori riferimenti a numeri, percentuali e soglie, questa situazione sottolinea la poca capacità dello Stato di fronteggiare l'indigenza di singole persone o interi nuclei familiari, per le quali il Reddito di cittadinanza è stata una scappatoia, ma senza essere stato un efficace strumento di contrasto della povertà, dimostrandosi un rimedio immediato, ma senza alcuna prospettiva.

E' un argomento che abbiamo ha affrontato anche in passato, già da quando qualcuno (segnatamente i Cinque Stelle) avevano inneggiato all'Rdc come alla risposta risolutiva dello Stato al problema della povertà, ignorando - non sappiamo per incapacità di analisi o strumentalizzazione politica - che la misura si riduceva soltanto ad un contributo infruttuoso. Un ''qualcosa'' che non poneva le basi per consolidare la situazione economica di chi lo percepiva e che, grazie alle scappatoie della lettera del provvedimento, lo ha accettato come un aiuto a sopravvivere, non certamente a ridisegnare il proprio futuro. Un pannicello caldo, per tamponare, non certo per costruire.

Eppure ancora oggi c'è, soprattutto (ma non solo) da parte di Cinque Stelle, l'incapacità di ammettere che alla fine il Reddito di cittadinanza non ha risolto alcun problema generale, dimostrandosi solo un bancomat che ha avuto la funzione di portare ristori a finanze domestiche disastrate, ma non con progetti, programmi, speranze.
Un errore concettuale che alla fine stanno pagando tutti i percettori della misura - anche coloro che effettivamente si trovano in condizioni di indigenza palese -, considerati dagli ''altri'' alla stregua di profittatori, di saprofiti del ''sistema''. Ridurre i margini per l'erogazione del beneficio, come ha fatto il governo, contrasta gli abusi connaturati alle lasche misure di controllo decise un tempo, ma non risolve certo il problema di fondo e che può essere sintetizzato sull'interrogativo su come lo Stato può aiutare i meno abbienti o i poveri senza cadere nel puro assistenzialismo, quindi privo di vere prospettive sostentamento. Continuare ad erogare il Reddito di cittadinanza resta un obbligo sino a quando non si identificheranno nuovi strumenti per aiutare chi ha meno, ma senza alimentare un perverso circuito di illegalità, quello che, sino ad oggi, ha gettato ombre sull'aiuto pubblico.

Le falle nell'originaria formulazione del provvedimento ha portato a ritenere il Rdc quasi come una pensione, senza che però ce ne siano le basi economiche. Nel senso che erogare circa 700 euro al mese a persone che non producono reddito mensilmente le pone sulle stesse basi di coloro che, lavorando per una vita, oggi godono di pensioni minime di poco superiori. Creando una enorme disparità - per come viene percepita - tra chi ha lavorato e chi non lo ha fatto o non lo fa, non necessariamente per sua scelta.
Ma lo ripetiamo questo non assolve lo Stato dall'obbligo di essere accanto a chi non riesce nemmeno ad avvicinarsi ad una soglia di sopravvivenza. Non possiamo essere noi a suggerire come, ma di certo non pensiamo che il problema possa essere risolto criminalizzando, come pure qualcuno fa, i percettori del Reddito di cittadinanza, tutti, senza distinguere chi ha veramente bisogno da chi ha criminalmente lucrato. Perché, se è vero che due terzi dei nuclei familiari che percepiscono l'Rdc risiedono al Sud, c'è da chiedersene il perché. Magari per evitare che qualcuno alimenti la leggenda nera che il Sud sia solo un parassita idrovora di benefici senza restituire nulla al Paese. Una narrazione sulla quale alcuni partiti hanno costruito le loro fortune.
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