Rapporto annuale Istat: "Puntare sui giovani per evitare il declino del Paese"

- di: Barbara Bizzarri
 
Il presidente dell'Istituto di Statistica, Francesco Maria Chelli, ha presentato, presso la Sala della Regina di Montecitorio, il Rapporto Annuale Istat, che scatta una foto dell’attuale situazione del Paese: «Da 31 anni, il Rapporto dell’Istat propone, attraverso dati e analisi puntuali, un ritratto dell’Italia. In questo ritratto si scorgono oggi nuove opportunità di crescita e di benessere e, allo stesso tempo, non trascurabili elementi di crisi e incertezza. Il periodo che abbiamo alle spalle non è stato, certo, facile. Il Paese è stato messo a dura prova dall’emergenza sanitaria e dalla crisi economica che ne è seguita».

Rapporto annuale Istat: "Puntare sui giovani per evitare il declino del Paese"

Il Rapporto rileva che parecchie disuguaglianze a livello economico, sociale e territoriale si sono aggravate. Nell’ultimo biennio, altri fronti di crisi si sono sovrapposti: la guerra in Ucraina, le tensioni a livello internazionale, la crisi energetica e il ritorno dell’inflazione, tutti fattori che hanno condizionato la ripresa dell’economia e accresciuto il disorientamento delle famiglie e l’incertezza per le imprese. Eppure, l’Italia ha mostrato una considerevole capacità di resilienza e reazione. Per misurarsi con la complessità del presente, e per garantire uno sviluppo più equilibrato, sostenibile e inclusivo, è necessario conoscere le interconnessioni che si stabiliscono fra le trasformazioni che incidono sul tessuto produttivo e sociale con modalità e velocità differenti. «In questa edizione, in particolare, abbiamo voluto mettere in primo piano i giovani, come risorsa da valorizzare e potenziale da non disperdere per costruire un futuro coerente con gli obiettivi di sviluppo che ho appena richiamato», ha aggiunto il presidente dell'Istat.

Il Rapporto, infatti, pone soprattutto l’accento sulla difficile situazione demografica italiana, suggerendo, contestualmente, di investire di più sui giovani, sulla loro formazione, sul loro benessere, proprio allo scopo di contrastare l’inarrestabile calo demografico e, quindi, il crollo del Pil ed in definitiva l’inevitabile declino del Paese. Si segnala, in particolare, che nella fascia 18-34 anni quasi un giovane italiano su due presenta una o più situazioni di difficoltà sul fronte dell’istruzione, del lavoro, della salute o del territorio in cui vive.

L’analisi Istat va dalle nuove criticità seguite alla fine della pandemia, come il forte rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime, accentuato dal conflitto in Ucraina, che hanno condizionato l’evoluzione dell’economia, con rilevanti aumenti dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie, a segnali favorevoli come la fase di recupero dell’attività produttiva che è continuata anche nel 2022, e spazia dalle criticità ambientali alle sfide della transizione ecologica sino alla capacità di innovazione e resilienza del nostro sistema di imprese.

Si parte dai dati della nostra economia, in larga parte positivi. A fine anno il saldo commerciale è tornato infatti in attivo. Dati incoraggianti arrivano poi dal mercato del lavoro, in cui all’aumento degli occupati si è associata la diminuzione dei disoccupati e degli inattivi. Nel primo trimestre 2023 si registra una dinamica congiunturale positiva per il Pil, superiore a quella delle altre economie dell’Unione Europea, trainata soprattutto dal settore dei servizi. La manifattura mostra invece segnali di rallentamento.

Sul fronte demografico, gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti: il consistente calo delle nascite registrato nel 2022 rispetto al 2019, circa 27 mila nascite in meno (siamo scesi sotto quota 400 mila) è dovuto per l’80 per cento alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20 per cento al calo della fecondità (1,24 figli in media per donna nel 2022 rispetto agli 1,27 del 2019). Di contro i decessi hanno toccato quota 713 mila.

A fine 2022 la popolazione residente ammontava così a 58.850,717 unità, 179.416 in meno di un anno prima. Tra il 2021 e il 2050 in Italia si stima una riduzione della popolazione residente pari a quasi 5 milioni, fino a poco più di 54 milioni. Continuerà il processo di invecchiamento (nel 2023 l'età mediana, 48,3 anni, è la più elevata tra i Paesi Ue27) e la struttura per età della popolazione cambierà in gran parte già nel periodo 2021-2041, quando la fascia di età fino ai 24 anni si ridurrà di circa 2,5 milioni (-18,5 per cento) e quella tra i 25 e i 64 anni di 5,3 milioni (-16,7 per cento). Al contrario crescerà di quasi un milione la popolazione tra i 65 e 69 anni (+27,8 per cento) e di 3,8 milioni (+36,2 per cento) quella di 70 anni e più, che nel 2041 comprenderà la generazione del baby boom.

Considerando la popolazione tra 0 e 24 anni e l'impatto sul sistema dell'istruzione, nel 2041 si prevede una riduzione minima (il 5,3 per cento) per i bambini tra 0 e 5 anni, un calo di oltre il 25% per i giovani tra 11 e 18 anni (in istruzione secondaria), e di poco inferiore al 20% per le fasce d'età corrispondenti all'istruzione elementare (6-10 anni) e universitaria (19-24 anni). Con riferimento alla popolazione in età di lavoro, e considerando la tendenza all'innalzamento dell'età pensionabile, per la classe 25-69 anni la riduzione sarà pari al 12,3%.

L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite, segnala l’Istat, che suggerisce di investire sul benessere delle nuove generazioni, per fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato dalla loro maggiore valorizzazione. Gli indicatori che riguardano il benessere dei giovani in Italia sono però ai livelli più bassi in Europa.

Nel 2022, quasi un giovane su due (47,7% della fascia d’età compresa fra i 18 e i 34 anni) mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere (Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo, Territorio). Di questi giovani oltre 1,6 milioni, pari al 15,5% dei 18-34enni, sono multi-deprivati, ovvero, mostrano segnali di deprivazione in almeno due domini. I livelli di deprivazione e multi-deprivazione sono sistematicamente più alti nella fascia di età 25-34 anni, che risulta la più vulnerabile. Oltretutto, in Italia il meccanismo di trasmissione intergenerazionale della povertà è più intenso che nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea: quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà proviene da famiglie che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una condizione finanziaria disagiata.

Le notevoli risorse finanziarie messe in campo per uscire dalla crisi, a partire dai quasi 200 miliardi del Pnrr, dovrebbero supportare investimenti che accompagnino e rafforzino il benessere dei giovani nelle diverse fasi dei percorsi di vita, intervenendo fin dai primi anni di vita. Il Rapporto 2023 segnala, inoltre, che l’Italia spende per prestazioni sociali erogate a famiglie e minori una quota pari all’1,2% del Pil contro il 2,5% della Francia ed il 3,7% della Germania. Anche sul fronte dell’istruzione emerge un “minor impegno” del nostro Paese, che utilizza appena il 4,1% del Pil contro il 5,2% della Francia, il 4,6% della Spagna ed il 4,5% della Germania, ed una media della UE del 4,8%.

Gli scenari demografici più recenti ci dicono, dunque, che nel giro di 20 anni l’Italia subirà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro: tuttavia, sottolinea il Rapporto dell’Istat, la contrazione della platea di studenti potrebbe essere mitigata dalla diminuzione degli abbandoni nelle scuole secondarie superiori e da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione universitaria. In entrambi i casi, in Italia si sono registrati progressi significativi già nell’ultimo decennio, ma la distanza dai Paesi più virtuosi dell’Unione è ancora ampia, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno.

Le criticità più notevoli, in particolare nelle regioni meridionali, riguardano anche le competenze dei diplomati, che risultano in media più basse rispetto a quelle misurate al Centro-Nord. Quasi un quinto dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia non lavora e non studia (il dato più elevato tra i Paesi Ue dopo la Romania), e fino a un terzo in Sicilia. Favorirne l’ingresso nel sistema formativo e nel mercato del lavoro potrebbe contribuire a ridurre la dissipazione del capitale umano dei giovani, risorsa sempre più scarsa nel prossimo futuro.

Gli effetti del calo della popolazione in età da lavoro e dell’invecchiamento sono apprezzabili già oggi. Nonostante il recente andamento favorevole dell’occupazione, l’Italia si colloca ancora all’ultimo posto in ambito europeo e, al tempo stesso, detiene il primato, dopo la Bulgaria, per l’elevata età media degli occupati. L’aumento dei tassi di occupazione, in particolare per i giovani e le donne, potrebbe compensare la perdita prevista nel numero di occupati per effetto della dinamica demografica e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi. Gli effetti delle tendenze demografiche sul mercato del lavoro non vanno intese dunque come un destino ineluttabile.

“Il nostro Paese - si conclude - può conseguire ampi margini di contenimento degli effetti sfavorevoli della dinamica demografica agendo sul recupero dei ritardi strutturali. In questa prospettiva, per competere nella società della conoscenza, è fondamentale l’investimento in capitale umano e l’impiego di professionalità qualificate, unitamente alla modernizzazione del sistema produttivo”.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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