Quirinale: parte la resa dei conti nei partiti

- di: Diego Minuti
 
La conferma di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica mette fine a settimane di fibrillazioni politiche che sono destinate a lasciarsi dietro più che qualche semplice strascico. Per il semplice motivo che in seno ai partiti, chi più chi meno, la soluzione data alla questione del Quirinale ha determinato nervosismi e, come nel caso dei Cinque Stelle, venti di scissione.
La lotta strisciante per confermare (Conte) o riconquistare (Di Maio) la leadership nel movimento è deflagrata, né poteva essere altrimenti, vista la discrasia della linea adottata dai Cinque Stelle nella partita della presidenza della Repubblica. Senza volere infierire - e senza nemmeno accennare ad un sorrisetto rileggendo le dichiarazioni entusiastiche e autocelebrative che Conte ha fatto, quasi a rivendicare il ruolo di demiurgo nella rielezione di Mattarella -, è abbastanza evidente come il movimento - che è/fu di Beppe Grillo - non ha una guida unitaria o almeno conseguenza di una cabina di regia condivisa, ma prosegue a seconda delle sensazioni del momento che, in politica, sono quanto di più vicino ci possa essere al suicidio.

Quirinale: parte la resa dei conti nei partiti

Tutto nei Cinque Stelle c'è stato, fuorché una strategia, fuorché coerenza, fuorché rispetto per la propria storia. Giuseppe Conte - esponendosi in questo modo agli attacchi dell'ala vicina a Di Maio - è sembrato subire la situazione e non invece cercare di esserne protagonista, sapendo di potere contare ancora su molti parlamentari che alla fine hanno dovuto adeguarsi a linee e indicazioni schizofreniche, nelle quali il movimento, nei suoi vertici politici, è sembrato annegare.

Ora - non si capisce bene con che strumenti e in che tempi - si materializza quell'ordalia che aleggiava da tempo e che forse è bene che sia arrivata, anche perché un partito di riferimento della coalizione di governo (il Pd) cerca ancora di capire se ci si possa ancora fidare dei Cinque Stelle, ma soprattutto del suo ondivago capo - che in alcuni momenti è sembrato sensibili a fascini antichi ... -.
Ma di problemi ne ha anche la Lega, pure se sarebbe più corretto dire che i problemi ce li ha Matteo Salvini, che si trova a dovere fronteggiare una situazione che non immaginava nemmeno quando, appena dieci giorni fa, si presentava al mondo come l'unico ad avere in tasca la soluzione dell'enigma Quirinale. Solo che, alla fine, di soluzioni ne ha avuto anche troppe e contraddittorie. Al punto che, pur di non andare a sbattere, ha dovuto ripiegare, approdando, nel porto rassicurante rappresentato da Sergio Mattarella, non come ammiraglio, ma come semplice membro dell'equipaggio.

Ora queste cose - a cominciare dal suicidio legato alla stravagante (politicamente parlando) candidatura di Elisabetta Casellati - lo pongono in una situazione delicata dentro la Lega, divisa tra chi vorrebbe uscire subito dal governo per tornare alle radici anti-sistema e chi invece ritiene che la collocazione del partito debba restare in un'area che determini. E se stai fuori dal governo non è che puoi determinare tanto.
Né Salvini può farsi prendere troppo la mano da quei suoi compagni di partito che ora lanciano al cielo strazianti lai rivendicando mano libera nei confronti del governo. Non può farlo per il semplice motivo che una parte importante della Lega - i governatori e i governisti - è tale perché porta voti. Non come qualche economista che, dell'essere ''contro'', ha fatto la sua cifra politica quotidiana.

E Forza Italia?
La sua totale dipendenza da Silvio Berlusconi se, da un lato, è garanzia per gli alleati, lo è un po' meno in termini di tenuta interna perché la rivendicata autonomia (come dicono oggi alcuni suoi maggiorenti) deve, prima o poi, andare alla verifica delle correnti che la animano e che si contendono a colpi di cannone il privilegio di sedere al desco del loro ''Re sole''. L'epilogo nella continuità dell'elezione del presidente della Repubblica non lascia nemmeno tanto tranquilli gli altri partiti, forse ad eccezione di Italia Viva che parrebbe essere rimasta coerente (se, in questo modo, intendiamo la linea di Matteo Renzi) e, quindi, tutto sommato, avendo confermato la sua coesione.

Il Pd, da parte sua, dopo avere gioito per la conferma di Mattarella, ora cerca di capire come lavorare per dare ulteriore spinta all'azione del governo, pur nella consapevolezza che Mario Draghi ben difficilmente deroga dai suoi schemi. Ma il vero problema per il Pd è nel rapporto con i Cinque Stelle, di cui si fida sempre di meno dopo le giravolte di Giuseppe Conte, difeso solo dai suoi pretoriani. Restano i Fratelli d'Italia ai quali la batosta subita da Salvini spiana una prateria verso la leadership di un centrodestra di cui Giorgia Meloni ha recitato il 'de profundis', annunciando che ha già cominciato a lavorare per costruirne uno nuovo. Ma per il futuro forse la leader di FdI dovrà riflettere sul fatto che arroccarsi certo evita la battaglia e quindi le perdite, ma non allarga i propri confini.
Quindi: Meloni vuole costruire un nuovo centrodestra, rivendicandone la primazia: Salvini guarda ad una federazione a guida leghista; Forza Italia rivendica autonomia di scelte e strategie.
Per tre partiti che dovrebbero essere alleati non c'è male...
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