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Produzione industriale ancora in calo: a febbraio -0,9%, 25esimo mese nero consecutivo

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Produzione industriale ancora in calo: a febbraio -0,9%, 25esimo mese nero consecutivo
La crisi dell’industria italiana non conosce tregua. A febbraio 2025, secondo i dati diffusi dall’Istat, la produzione industriale ha registrato un calo dello 0,9% rispetto al mese precedente. Su base annua, la flessione è ancora più significativa: -2,7% al netto degli effetti di calendario. Ma è soprattutto il dato tendenziale a far scattare l’allarme: si tratta del venticinquesimo calo consecutivo su base annua. Un’intera fase economica segnata da una lenta ma costante erosione della capacità produttiva del Paese, che solleva interrogativi profondi sulla tenuta del sistema industriale italiano e sulla sua capacità di affrontare le sfide della transizione ecologica e digitale.

Produzione industriale ancora in calo: a febbraio -0,9%, 25esimo mese nero consecutivo

La nuova contrazione conferma una tendenza ormai strutturale. Dal gennaio 2023, la produzione industriale non ha mai fatto registrare una variazione positiva su base annua, delineando una fase di lunga stagnazione, in parte eredità degli shock post-pandemici, in parte segnale di un più profondo indebolimento della domanda interna e delle esportazioni. Anche a febbraio, l’unico comparto a registrare un andamento positivo è stato quello dell’energia, che resiste grazie a dinamiche settoriali particolari e a una maggiore stabilità dei prezzi. Tutti gli altri principali raggruppamenti industriali — beni strumentali, beni intermedi, beni di consumo — risultano in calo.

L’effetto combinato tra rallentamento globale e incertezze interne

Il calo della produzione si inserisce in un quadro internazionale già difficile. La frenata tedesca, la debolezza della domanda cinese e l’incertezza sulle politiche monetarie americane influenzano negativamente le esportazioni italiane. Ma ci sono anche fattori interni che aggravano la situazione: l’inflazione ancora elevata frena i consumi, l’instabilità normativa scoraggia gli investimenti e il costo del denaro continua a pesare sulle imprese più fragili. L’industria, che per decenni ha rappresentato il motore dello sviluppo italiano, si trova ora schiacciata tra crisi esterne e mancanze strutturali.

Un’economia che rischia di perdere il suo baricentro produttivo

L’industria rappresenta ancora il 16% del PIL italiano, ma il suo peso specifico si sta riducendo. Le imprese segnalano una crescente difficoltà nel programmare la produzione a medio termine, frenate da carenza di personale qualificato, ritardi infrastrutturali e incertezze sul fronte delle politiche industriali. In questo scenario, il rischio più concreto è quello di una progressiva desertificazione produttiva, in particolare nei territori del Centro-Sud, dove i dati Istat mostrano un calo ancora più marcato. I distretti manifatturieri del Nord, pur conservando una certa capacità di tenuta, segnalano un rallentamento che potrebbe diventare strutturale senza misure tempestive.

Il nodo degli investimenti pubblici e privati

Gli operatori chiedono un rilancio deciso degli investimenti pubblici, a partire dalle risorse del PNRR. Ma i tempi della burocrazia rallentano la messa a terra dei fondi, mentre l’instabilità politica riduce la fiducia degli investitori esteri. Anche il settore privato appare in ritirata: le imprese tagliano gli investimenti in macchinari e innovazione, aspettando segnali più chiari sul fronte fiscale e normativo. Le piccole e medie imprese, in particolare, soffrono per la difficoltà di accesso al credito, aggravata da tassi di interesse ancora elevati. In questo contesto, il sistema industriale rischia di perdere competitività proprio mentre si gioca la partita della transizione.

Solo l’energia mostra segnali di resilienza

Tra i settori monitorati dall’Istat, l’unico a presentare un segno positivo è quello dell’energia. La ripresa degli investimenti nelle rinnovabili, l’aumento dei consumi elettrici per usi domestici e l’effetto stabilizzante delle recenti misure sui prezzi dell’energia contribuiscono a spiegare questa eccezione. Ma si tratta di una resilienza relativa, che non basta a compensare il declino degli altri comparti. Il rischio, secondo molti analisti, è che la tenuta del settore energetico venga messa sotto pressione da un’eventuale recrudescenza dei conflitti internazionali o da nuovi shock sui prezzi delle materie prime.

Serve un piano industriale vero, non solo misure tampone

Le cifre pubblicate dall’Istat sono un campanello d’allarme chiaro: l’Italia ha bisogno di una strategia industriale strutturata, capace di affrontare le debolezze sistemiche e rilanciare il ruolo della manifattura nel quadro dell’economia nazionale. Servono politiche fiscali incentivanti, una semplificazione delle procedure, investimenti in ricerca e formazione, e un forte coordinamento tra istituzioni centrali e territori. Senza una visione di lungo periodo, il rischio è quello di assistere a una lenta erosione del tessuto produttivo, con conseguenze gravi su occupazione, innovazione e crescita.
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