Il Ponte del Soldino - un’opera cancellata che Roma non vuole dimenticare

- di: Redazione
 

Quante volte abbiamo sentito parlare dei ‘’non luoghi’’, spesso in contrapposizione con quelli ‘’della memoria’’, due categorie che, apparentemente antitetiche, si occupano del rapporto che, come essere pensanti e senzienti, ci lega a posti, fisici o che esistono solo nella nostra immaginazione o nella sfera dei ricordi.

Eppure questi luoghi che non sono mai esistiti o che non abbiamo direttamente conosciuto o che nascono e si alimentano solo di storia e immaginazione, hanno un fascino costante, inducendoci sempre, nelle nostre introspezioni, a collocarne qualcuno nei nostri pensieri.

Il Ponte del Soldino: un’opera cancellata che Roma non vuole dimenticare

E’ un argomento in cui in tanti si sono esercitati, cercando di dare, ciascuno con i risultati che ‘’merita’’, corpo alla fantasia o all’esigenza di alimentare negli altri l’interesse su cose concrete che, sparendo fisicamente, rimangono nel cuore della gente.

Per questo merita attenzione, e anche plauso, l’operazione editoriale che Palombi ha messo in essere, unendo, in uno stesso volume, due diverse tipologie di scrittura o, per meglio dire, di racconto della verità, incentrate su quello che, a Roma, nella tradizione orale è ricordato come il Ponte del Soldino.

Un’opera che non esiste più da oltre ottant’anni, eppure è rimasta nei racconti di chi, pur non avendo vissuto fisicamente il periodo della sua realizzazione e del suo uso da parte della gente, soprattutto comune, ne ha ancora ben chiara l’importanza per una capitale che si dibatteva tra il potere temporale dei Papi e la nascente coscienza unitaria.

Nel libro, quindi, trovano posto il rigore storico, con il saggio a firma di Stefano Lucchini e Giovanna Pimpinella, dal titolo ‘’C’era una volta un ponte’’, e il romanzo, con  ‘’Il ponte sospeso’’, scritto da Andrea Carlo Cappi.

Costruito nel 1863 sul Tevere, all’altezza della chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, il ponte di ferro, per la scelta di realizzarlo usando un materiale che, per i romani, era quasi un insulto alla maestosità delle pietre della città, fu guardato sempre con un sentimento in cui scetticismo e senso pratico si fondevano.

Perché, se faceva storcere il naso, era pur sempre un modo per scavalcare il fiume, non liberamente, ma - e pure questo contribuì alla sua controversa fama - pagando appunto una monetina. Cosa che, dimenticando intitolazioni ufficiali e quindi ridondanti di pomposità, portò il popolo a etichettarlo come il Ponte del Soldino. Un’opera che, nata per resistere al tempo, fu abbattuta quando le sue linee essenziali, spartane, spigolose come possono essere travi e archi di ferro, lo resero poco in linea con quelle che i nuovi reggitori del potere politico italiano promuovevano come simbolo della grandezza del ‘’nuovo Paese’’.

L’opera, voluta dal Papa per proiettare lo Stato pontificio verso il futuro, con il passare degli anni divenne un simbolo concreto della caducità dei progetti e dei sogni, perché la gente preferì a quel ponte di ferro, barre, viti e bulloni, altri scavalcamenti del Tevere più legati alla tradizione della Citta eterna, rendendolo, col passare del tempo, un monumento della memoria.

Il libro si muove lungo tre direttrici, la prima delle quali è l’immagine del Ponte del Soldino che ci è stata lasciata da Annibale Angelini del 1869, in cui si vede sullo sfondo la chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini; poi il saggio di Giovanna Pimpinella (giornalista e storica dell’arte, specializzata in crimini contro il Patrimonio) e Stefano Lucchini (manager tra i più conosciuti ed apprezzati, in Italia e all’estero) che, partendo dal progetto fino al suo diventare parte integrante della vita della Roma dell’epoca, ricostruisce la vera storia del Ponte del Soldino; l’ultima è il romanzo che, mischiando realtà e fantasia, ricordi e suggestioni, Andrea Carlo Cappi ha dedicato ad un’opera che ha attraversato la storia di Roma per un lasso di tempo relativamente breve, ma significativo.
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