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Trump ribattezza il Pentagono: torna il Dipartimento della Guerra

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Trump ribattezza il Pentagono: torna il Dipartimento della Guerra
Trump ribattezza il Pentagono: torna il Dipartimento della Guerra
Ordine esecutivo atteso per venerdì, dal 1949 il nome era “Difesa”.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si prepara a firmare un ordine esecutivo che cambierà la denominazione ufficiale del Pentagono. Il Dipartimento della Difesa tornerà a chiamarsi Dipartimento della Guerra, riportando in vita un nome utilizzato fino al 1949, quando l’America usciva dalla Seconda guerra mondiale ed entrava nella stagione della Guerra fredda.

Il ritorno alle origini

Per Trump, il cambio non è solo formale: è un modo per restituire al Paese – e al mondo – un’immagine più diretta del ruolo delle forze armate statunitensi. “Difesa” appare, nella sua visione, un termine ambiguo, troppo legato alla diplomazia e all’idea di contenimento. “Guerra”, invece, restituisce chiarezza e potenza. È lo stesso concetto ribadito anche dal segretario alla Difesa Pete Hegseth che, grazie al provvedimento, potrà essere indicato anche come Segretario alla Guerra.

L’ordine esecutivo

Il documento che sarà firmato venerdì stabilisce che la nuova dicitura affianchi quella attuale: non una cancellazione completa, ma una coabitazione tra due nomi. Sulle comunicazioni ufficiali comparirà la formula “Dipartimento della Guerra”, in parallelo a “Department of Defense”. La Casa Bianca parla di un gesto per onorare la tradizione, affermazione attribuita alla Casa Bianca, per rafforzare l’identità delle forze armate. È una scelta che mira a riportare il lessico politico-militare americano indietro di oltre settant’anni.

Il 1949 e il cambio di paradigma

La denominazione di “Dipartimento della Guerra” era stata abbandonata nel 1949, in un momento di forte ridefinizione strategica. Gli Stati Uniti, reduci dalla vittoria nella Seconda guerra mondiale, avevano scelto di presentarsi sulla scena internazionale come potenza garante dell’ordine globale, non come attore aggressivo. “Difesa” era la parola chiave di quel periodo: esprimeva la volontà di costruire un’architettura multilaterale di sicurezza, incarnata dalla nascita della NATO e dal nuovo sistema di alleanze.

La scelta di Trump

Con l’ordine esecutivo, Trump compie un gesto in controtendenza rispetto alla tradizione postbellica. Non è solo un cambio di insegne, ma un messaggio politico. La sua amministrazione vuole sottolineare un approccio più diretto, meno mediato. Per i sostenitori, chiamare le cose con il loro nome è un atto di trasparenza. Per i critici, è una mossa che rischia di alimentare tensioni in un contesto internazionale già segnato da conflitti e rivalità.

Le reazioni possibili

Il ritorno alla parola “Guerra” potrebbe avere conseguenze anche sul piano diplomatico. In Europa, partner storici degli Stati Uniti, la decisione rischia di essere interpretata come un abbandono della retorica cooperativa che aveva caratterizzato il rapporto transatlantico. In Asia, in particolare in Cina, il cambio di nome potrebbe essere letto come un segnale di sfida, in un momento in cui le relazioni tra Washington e Pechino sono tese sul fronte commerciale, tecnologico e militare.

Il peso simbolico

La semantica, in politica, conta. Chiamare un ministero “della Guerra” o “della Difesa” non è la stessa cosa: significa trasmettere un messaggio diverso al Paese e al mondo. Per molti osservatori, la scelta di Trump si inserisce in una strategia comunicativa che privilegia l’impatto simbolico, anche a costo di dividere l’opinione pubblica. Per altri, è il segnale di un’America pronta a riaffermare senza filtri la propria centralità come potenza militare globale.

Una mossa che divide

Negli Stati Uniti, il dibattito è già acceso. C’è chi considera la decisione un atto di sincerità nei confronti dei cittadini: le forze armate non si limitano a difendere, combattono guerre in più teatri del mondo e chiamarle con il loro nome sarebbe solo realismo. Ma c’è anche chi parla di regressione culturale, di un ritorno a un linguaggio che rischia di cancellare decenni di costruzione di un’immagine di potenza responsabile.

Le prossime mosse

Dopo la firma, prevista per venerdì, il Pentagono avvierà un processo di aggiornamento delle comunicazioni ufficiali. Non sarà un cambiamento immediato su ogni documento o insegna, ma l’avvio di una nuova fase. La sfida sarà capire se si tratta di un gesto simbolico destinato a restare confinato all’etichetta o di un segnale più profondo di mutamento nella dottrina militare americana.

Trump, ancora una volta, sceglie la strada del gesto forte, capace di catalizzare l’attenzione. In un mondo attraversato da conflitti aperti – dall’Ucraina al Medio Oriente – riportare la parola “guerra” sulla facciata del Pentagono non è solo un ritorno al passato: è una dichiarazione sul presente e sul futuro della politica estera americana.

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