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Perché il Pil Usa sorprende: boom consumi e ombre sulla produttività

- di: Matteo Borrelli
 
Perché il Pil Usa sorprende: boom consumi e ombre sulla produttività
Pil Usa al 4,3%: boom consumi, AI e nodi su inflazione e disuguaglianze
Un dato che sorprende i mercati: la crescita corre più delle stime, ma la fotografia è a due velocità, tra spesa dei più ricchi, sanità in accelerazione e un mercato del lavoro meno brillante.

Il numero che spiazza: perché il Pil “corre”

Nel terzo trimestre 2025 l’economia statunitense mette a segno un +4,3% (dato annualizzato), superando le previsioni più diffuse. La lettura immediata è semplice: l’attività resta tonica. Quella più utile, però, è più sfumata: la crescita arriva da poche componenti molto forti, mentre altre lanciano segnali meno rassicuranti.

Il paradosso dell’anno si vede in controluce: borse in salita e, al tempo stesso, un mercato del lavoro che perde slancio. In mezzo c’è una parola che torna ovunque: produttività. E con lei, l’ipotesi di un’accelerazione legata all’adozione di strumenti digitali e di intelligenza artificiale.

Consumi protagonisti: sanità, farmaci e viaggi

La spinta più evidente arriva dalla spesa delle famiglie, che nel trimestre offre un contributo decisivo alla crescita. A trainare non sono soltanto i beni “classici”, ma soprattutto i servizi: spiccano sanità, farmaci su prescrizione e viaggi internazionali.

In pratica, una parte dell’America continua a comprare come se non ci fosse domani: cure, prevenzione, terapie, e poi biglietti aerei e vacanze fuori confine. E qui emerge una chiave: la spesa non è uniforme.

Crescita a due velocità: i ricchi spendono, gli altri tirano il freno

Diverse aziende segnalano un fenomeno ricorrente: pressione sui consumi delle fasce medio-basse e maggiore vitalità tra i clienti più abbienti. È la dinamica della crescita “a strati”: chi ha patrimoni finanziari beneficia di mercati azionari robusti e mantiene (o aumenta) la spesa; chi vive soprattutto di reddito da lavoro appare più prudente.

Il punto non è solo sociale: è macroeconomico. Se la crescita dipende in misura crescente da una minoranza di consumatori, la domanda diventa più fragile: basta un cambio di umore dei mercati o un rialzo dei costi per raffreddare rapidamente la spesa.

Inflazione: il tallone d’Achille

La seconda ombra è l’inflazione. Il riferimento più osservato dagli analisti è l’indice core delle spese per consumi personali (PCE core), che nel trimestre risale rispetto ai mesi precedenti. Traduzione: i prezzi corrono più dei redditi in una parte significativa del periodo considerato.

Qui entra in scena un incrocio delicato: se l’inflazione resta sopra obiettivo, la Federal Reserve può essere spinta a mantenere condizioni monetarie restrittive più a lungo; se invece l’economia rallenta troppo sul lavoro, la pressione per tagliare i tassi aumenta. È un equilibrio instabile, con la fiducia dei consumatori che può cambiare in fretta.

Risparmi in discesa: quanto è “vero” lo slancio

Un altro segnale da monitorare è il tasso di risparmio. Quando i risparmi scendono, la spesa può restare alta anche se i redditi non accelerano: per un po’ funziona, ma non è una benzina infinita. Se la propensione a risparmiare cala troppo e troppo a lungo, la domanda rischia di diventare più vulnerabile agli shock.

In sostanza: il Pil può sorprendere per un trimestre, ma la domanda è se l’energia che lo alimenta sia sostenibile.

Export e import: il contributo del commercio estero

Nel trimestre pesa anche il canale estero: le esportazioni nette danno un contributo importante. Parte dell’effetto arriva da importazioni più basse, dopo un inizio d’anno in cui molte imprese avevano anticipato gli acquisti per ridurre l’impatto di possibili dazi e rincari.

Attenzione però alla lettura: meno import non è automaticamente una buona notizia. Se la riduzione dipende da prezzi più alti, strozzature o componenti più costosi, il risultato può essere l’opposto: pressione sui costi per le aziende e, a cascata, nuovi aumenti sui consumatori.

Investimenti: macchinari su, edilizia giù

Gli investimenti mostrano un quadro misto. Da un lato, gli acquisti di macchinari restano sostenuti: un segnale coerente con la corsa a digitalizzazione e automazione, e con l’idea che l’AI stia entrando nei processi produttivi in modo più capillare. Dall’altro, si osserva una flessione nell’edilizia residenziale e in alcune strutture produttive, spesso più sensibili a tassi di interesse elevati e costi di finanziamento.

Produttività e AI: boom reale o “bolla” statistica?

La domanda che circola con più insistenza è questa: l’AI sta già aumentando la produttività in modo misurabile, o stiamo guardando un fenomeno in parte temporaneo?

Ci sono almeno tre possibili letture:

  • Effetto reale: automazione, software e strumenti AI permettono di produrre di più con le stesse ore lavorate.
  • Effetto di composizione: alcuni settori crescono più rapidamente di altri, e questo cambia il “mix” dell’economia, facendo apparire migliore la produttività media.
  • Effetto di misurazione: i salti di produttività possono essere amplificati da revisioni statistiche, tempi di rilevazione e ritardi nei dati.

Il punto, per mercati e politica economica, è pragmatico: se la produttività aumenta davvero, l’economia può crescere di più senza alimentare eccessivamente l’inflazione. Se invece è un rimbalzo temporaneo, il rischio è di scoprire più avanti che la corsa era sostenuta da fattori meno solidi.

Mercato del lavoro: perché la corsa del Pil non basta

Un Pil forte non garantisce automaticamente un boom dell’occupazione. Se parte della crescita arriva da efficienza, automazione e investimenti in tecnologia, alcune imprese possono aumentare la produzione senza aumentare proporzionalmente gli organici. È qui che nasce l’apparente contraddizione: economia robusta, ma segnali di raffreddamento su assunzioni e dinamica salariale in diversi comparti.

Politica economica: la scommessa tra tagli, deregolamentazione e dazi

Sullo sfondo resta il dibattito sulle politiche pro-crescita: tagli fiscali e deregolamentazione possono sostenere investimenti e fiducia; allo stesso tempo, i dazi funzionano spesso come un aumento dei costi (e, indirettamente, come una tassa), con possibili ricadute su prezzi finali e catene di fornitura.

In altre parole: l’economia può anche accelerare nel breve, ma la domanda vera è se il mix di politiche generi crescita di qualità o alimenti nuove tensioni su prezzi e disuguaglianze.

Cosa guardare ora: tre indicatori chiave

Per capire se il +4,3% è l’inizio di una fase duratura o un picco, i prossimi mesi ruoteranno attorno a tre termometri:

  1. Inflazione core: se rientra, la Fed avrà più margine; se risale, la stretta può durare.
  2. Redditi reali: senza un recupero dei salari “al netto dei prezzi”, la spesa rischia di indebolirsi.
  3. Produttività: se la spinta è strutturale, l’economia può reggere una crescita più alta senza surriscaldarsi.

Crescita forte, ma non per tutti

Il dato sul Pil racconta un’America che sa ancora accelerare, con consumi e investimenti tecnologici capaci di sorprendere. Ma sotto il cofano restano fragilità evidenti: spesa diseguale, inflazione ancora sensibile e un mercato del lavoro meno brillante rispetto all’immagine restituita dai numeri aggregati.

La partita, adesso, è capire se la produttività (e l’AI) stanno davvero cambiando il potenziale dell’economia oppure se siamo davanti a un trimestre eccezionale, destinato a normalizzarsi quando l’effetto-ricchezza e la spinta dei servizi perderanno intensità. 

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