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Italia fanalino d’Europa: crescita ferma allo 0,5% annuo in 25 anni

- di: Bruno Coletta
 
Italia fanalino d’Europa: crescita ferma allo 0,5% annuo in 25 anni

Il report dell’Osservatorio CPI smonta le fake news e dimostra che negli ultimi due decenni l’Italia ha accumulato un divario profondo. Un declino quasi costante, con una sola eccezione.

Italia fanalino d’Europa: crescita ferma allo 0,5% in 25 anni

L’Italia cresce meno del resto d’Europa. Non è un’opinione, ma una fotografia dettagliata tracciata dall’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI) in una nuova analisi a firma di Gianmaria Olmastroni, junior economist del centro diretto da Giampaolo Galli. L’indagine analizza l’andamento del Pil reale italiano nei 25 anni compresi tra il quarto trimestre del 1999 e quello del 2024, mettendolo a confronto con quello degli altri Paesi dell’Eurozona. Il risultato è impietoso: mentre il Pil reale del resto dell’Eurozona è cresciuto in media dell’1,4% annuo, quello italiano si è fermato a un misero 0,5%.
Come evidenzia il report dell’Osservatorio CPI, la crescita cumulata dell’Italia nel periodo è stata pari al +12%, contro un +42% del resto dell’Eurozona. “Nessuno ha fatto peggio, neanche la Grecia”, scrive Olmastroni. È un dato strutturale, non una semplice flessione congiunturale. Un dato che mina alla base ogni retorica trionfalistica sul presunto sorpasso italiano.

Un declino quasi costante, con una sola eccezione
Come puntualizza il report, per comprendere a fondo il divario è utile guardare al rapporto tra il Pil italiano e quello del resto dell’Eurozona. Nei periodi in cui questo rapporto cala, significa che l’Italia cresce meno degli altri. E dal 1999 a oggi, a parte una breve eccezione, la linea è sempre scesa. “L’unico momento di inversione del trend si è verificato a partire dal terzo trimestre del 2020”, sottolinea l’indagine dell’Osservatorio CPI. In quel momento, l’Italia era governata dall’esecutivo Conte II.
Tuttavia, chiarisce Olmastroni, il rimbalzo iniziale fu in gran parte meccanico, perché l’Italia era stata colpita più duramente dalla crisi pandemica nei primi mesi del 2020. Più interessante, secondo l’analisi, è la crescita avvenuta sotto il governo Draghi, quando il Pil ha continuato a salire anche dopo aver recuperato i livelli pre-Covid. È in quel periodo che si registra una vera e propria accelerazione rispetto all’Eurozona.

Nel biennio 2023-2024 il Pil italiano è cresciuto dell’1,1% cumulato, contro l’1,4% dell’Europa
La performance italiana si appiattisce rispetto agli altri Paesi europei. “Nel biennio 2023-2024, il Pil italiano è cresciuto dell’1,1% cumulato, contro l’1,4% del resto dell’area Euro”. Non solo, puntualizza ancora l’Osservatorio CPI, il contesto macroeconomico è stato relativamente favorevole, a differenza di quanto accaduto in altri periodi storici, come durante i governi Monti o Berlusconi IV, colpiti da crisi finanziarie e tensioni sui mercati.
L’affermazione, talvolta sostenuta da esponenti della maggioranza, secondo cui l’Italia starebbe crescendo più del resto d’Europa, non trova alcun riscontro nei dati. Al contrario, osserva Olmastroni, l’Italia è tornata a crescere in linea con l’Eurozona, mantenendo invariato un divario accumulato in oltre due decenni. E questo non può essere motivo di soddisfazione.

Il vero obiettivo: colmare il divario
Come evidenzia l’Osservatorio CPI, la sfida per l’Italia non è evitare di peggiorare, ma recuperare terreno. “Non ci si può accontentare di mantenere il distacco dal gruppo”, sottolinea Olmastroni. L’Italia ha bisogno di una crescita sostenuta e strutturale, non episodica o trainata da fattori straordinari.
Anche guardando al Pil pro capite, la situazione non cambia radicalmente: “Il posizionamento relativo dei governi resta simile, anche se i dati sono leggermente migliori per gli esecutivi guidati da Renzi e Meloni”, puntualizza l’economista.
La conclusione dell’indagine è netta: serve una strategia di lungo periodo per risalire la china. Non bastano i proclami o gli aggiustamenti marginali. Come afferma il report, “l’Italia ha accumulato un ritardo troppo grande per permettersi di restare ferma”. Servono investimenti, riforme strutturali e una visione chiara. E soprattutto servono dati, non narrazioni.


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