Il mondo “accelera” sui consumi mentre parla di transizione: fossili ancora dominanti, prezzi globali più morbidi, Europa più cara. E in Italia l’allineamento delle accise rischia di cambiare il cartellone: il diesel può sorpassare la benzina.
Il numero che racconta un’epoca
Nel 2025 la domanda mondiale di petrolio ha toccato un picco record: 105 milioni di barili al giorno. È la fotografia scattata da UNEM (Unione Energie per la Mobilità) nel suo Preconsuntivo “Energia e mobilità”, presentato a Roma l’11 dicembre 2025. La soglia psicologica è potente: non è solo un dato industriale, è un promemoria su quanto il sistema energetico globale resti “attaccato” all’oro nero anche mentre si moltiplicano piani verdi, target e promesse.
Secondo la stessa analisi, la domanda di energia nel mondo nel 2025 è cresciuta di +1,8% rispetto al 2024. Le ragioni indicate sono molto concrete: più popolazione e più energia richiesta da un’economia digitale che divora elettricità — data center e intelligenza artificiale in testa.
Fossili ancora “padroni di casa”, rinnovabili in rincorsa
Il dato che fa discutere è un altro: nel 2025 l’86% della domanda totale sarebbe ancora coperta da fonti fossili, una quota che UNEM descrive come non troppo diversa da quella di dieci anni fa. Nel mix globale, il petrolio resta prima fonte (oltre il 33%), seguito da carbone (circa 27%) e gas (circa 25%), mentre le rinnovabili si attestano intorno al 9%.
La spinta “digitale” non è un dettaglio da addetti ai lavori. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) stima che i data center consumino oggi circa 415 TWh (circa 1,5% dell’elettricità globale nel 2024) e che la crescita recente sia stata nell’ordine del 12% annuo. È uno dei tasselli che spiegano perché, anche con più rinnovabili, la domanda complessiva riesca a tenere in vita — e spesso a far crescere — anche i fossili. Fonte e data: pagina IEA su “Energy demand from AI”, consultabile e aggiornata nel 2025.
Prezzi: nel mondo più leggeri, in Europa più pesanti
UNEM insiste su un paradosso: a livello globale il costo combinato di petrolio, gas e carbone sarebbe “mai stato così basso” negli ultimi anni, mentre in Europa la situazione è diversa e in Italia i prezzi energetici restano tra i più alti, anche per fattori strutturali e geopolitici (sanzioni, dipendenze, scarsa produzione locale). Fonte e data: documento del presidente UNEM, 11/12/2025.
Nel dettaglio del greggio, UNEM indica per il 2025 un prezzo medio del Brent attorno a 68,7 dollari al barile, in calo di circa il 14% rispetto al 2024. È un contesto che tende ad “ammorbidire” i listini industriali, ma non basta a neutralizzare il peso di tasse e dinamiche europee.
Intanto, sul fronte delle prospettive internazionali, anche le istituzioni e i grandi attori continuano a divergere: l’IEA ha rivisto le stime sul mercato 2026 parlando di surplus più contenuto rispetto alle previsioni precedenti; l’OPEC, nello stesso giorno (11 dicembre 2025), ha invece sostenuto l’idea di un equilibrio più vicino tra domanda e offerta nel 2026. È un braccio di ferro di numeri che pesa sulle aspettative e quindi sui prezzi.
Italia: consumi quasi fermi, CO2 giù, ma il carburante resta un nervo scoperto
In Italia, sempre secondo UNEM, la domanda di energia nel 2025 è rimasta quasi stabile: -0,3% (circa 142,1 Mtep). Nello stesso periodo le emissioni di CO2 risultano -13% rispetto al 2021. Il petrolio si conferma prima fonte (peso 37%), tallonato dal gas (36,5%).
Ma la notizia più “da bar” — e quindi politicamente sensibilissima — è un’altra: dal 1° gennaio 2026 l’allineamento delle accise potrebbe rendere il gasolio più caro della benzina di circa 3 centesimi al litro (a parità di prezzo industriale), con un maggiore gettito stimato da UNEM in circa 2 miliardi nel periodo 2026-2030. Fonte e data: documento UNEM, 11/12/2025.
Il tema è entrato nel dibattito pubblico già nelle settimane precedenti con le anticipazioni sulla manovra e sulle accise, e viene ripreso oggi anche dalla stampa generalista: l’ipotesi di riallineamento — presentata come misura di sistema — rischia però di tradursi in un “effetto immediato” su famiglie e imprese che usano il diesel per lavoro e logistica.
La fattura energetica e le tasse: il conto vero sta nei dettagli
Dietro le percentuali c’è la contabilità di un Paese importatore. UNEM stima per il 2025 una fattura energetica pari a 53,5 miliardi di euro (circa -4,2% sul 2024). La fattura petrolifera viene vista intorno a 23 miliardi (circa -14,4%), favorita dal calo delle quotazioni e dal cambio, con un contributo della produzione nazionale che — secondo UNEM — evita ulteriore esborso.
Capitolo gettito: nel 2025 il gettito fiscale degli oli minerali viene indicato in 41,6 miliardi (leggero calo sul 2024), con una composizione dominata dalle accise. E lo stesso documento osserva che, con il riallineamento dal 2026, il gettito potrebbe tornare sopra quota 42 miliardi.
Il nodo politico: transizione sì, ma con quali strumenti?
Nel racconto di UNEM c’è anche una linea di politica industriale: l’associazione chiede che l’Europa non riduca la transizione alla sola elettrificazione e valorizzi anche le alternative “low carbon” disponibili, dai biocarburanti ai carburanti sostenibili per l’aviazione. È un tema che Murano ha ripetuto in più interventi pubblici nel corso del 2025, insistendo sulla necessità di una neutralità tecnologica che non lasci indietro filiere e investimenti.
Il punto, in altre parole, è questo: se la domanda globale continua a crescere (e se cresce anche la “fame” elettrica dell’AI), la partita non è solo “chi vince” tra fossili e rinnovabili, ma quanto costa il percorso e chi paga gli scarti di competitività tra aree del mondo.
Che cosa aspettarsi nel 2026
UNEM prevede che la domanda mondiale possa salire ancora, fino a 105,5 milioni di barili al giorno nel 2026, con crescita concentrata quasi interamente nei Paesi non OCSE. Sullo sfondo, l’incertezza resta: IEA e OPEC continuano a offrire letture differenti dell’equilibrio tra offerta e domanda, e questo — in un mercato che vive anche di aspettative — conta quasi quanto i barili reali.
In Italia, invece, la prima cartina di tornasole sarà il listino alla pompa: se l’allineamento delle accise verrà confermato, il 2026 potrebbe aprirsi con un sorpasso “storico” del diesel sulla benzina. Non un dettaglio, ma un segnale culturale: il carburante più usato da chi macina chilometri potrebbe diventare quello più penalizzato fiscalmente.