Il peso della tregua: dietro le quinte di un accordo fragile

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Ore convulse, trattative serrate e una tensione palpabile hanno rischiato di far naufragare tutto fino all’ultimo minuto. La tregua firmata questa notte a Doha tra Israele e Hamas non è solo un passo verso il silenzio delle armi, ma anche il riflesso di un equilibrio geopolitico che si regge su un filo sottilissimo. Per comprendere appieno il significato di questo accordo, è necessario ripercorrere le fasi che hanno portato alla firma, una lunga giornata di negoziati e tensioni che ha visto i protagonisti muoversi su un terreno diplomatico minato.

Il peso della tregua: dietro le quinte di un accordo fragile

La giornata di ieri era iniziata con segnali contrastanti. In Qatar, i negoziatori di Israele e Hamas, supportati dai rappresentanti di Stati Uniti e Qatar, erano impegnati a limare gli ultimi dettagli di un accordo già annunciato come vicino. Tuttavia, nella tarda mattinata, a Gerusalemme la situazione si complicava: l’ultradestra israeliana, guidata da Itamar Ben Gvir, minacciava di far cadere il governo di Benjamin Netanyahu. La dichiarazione pubblica di Ben Gvir – "Se l’accordo sarà ratificato, presenteremo le nostre dimissioni e non faremo parte del governo fino alla ripresa della guerra" – suonava come un ultimatum.

Nel frattempo, sul campo, la tensione restava altissima. Gli attacchi nella Striscia di Gaza continuavano, con il ministero della Sanità legato a Hamas che denunciava la morte di 81 persone e il ferimento di altre 188. Un bilancio drammatico che rendeva evidente l’urgenza di fermare le ostilità.

Nel pomeriggio, le prime indiscrezioni sulla chiusura dell’accordo cominciavano a filtrare dai media internazionali. Al Arabiya parlava di un’intesa ormai prossima, con gli ultimi nodi riguardanti le modalità di rilascio degli ostaggi e la cessazione dei bombardamenti. Tuttavia, il silenzio ufficiale da parte del governo israeliano lasciava presagire che qualcosa potesse ancora andare storto.

La sera: la resistenza dell’ultradestra e il rischio di un fallimento

La tensione aumentava nelle ore serali. A Gerusalemme, le proteste contro l’accordo si intensificavano, con manifestanti che bloccavano le strade e accendevano falò in segno di dissenso. La polizia israeliana interveniva con arresti, mentre il partito Likud, guidato da Netanyahu, si schierava pubblicamente contro le frange più estreme della coalizione, accusandole di mettere a rischio la stabilità del governo.

Intorno alle 22, le prime conferme ufficiose iniziavano a circolare: le modifiche finali all’accordo erano state apportate e i negoziatori israeliani e di Hamas si preparavano a firmare il testo definitivo. Tuttavia, le tensioni interne al governo israeliano non erano ancora risolte. Una riunione straordinaria del gabinetto di sicurezza veniva convocata per il giorno successivo, mentre i ministri dell’ultradestra minacciavano di presentare ricorso alla Corte Suprema entro 48 ore.

La notte a Doha: una firma storica ma fragile


Mentre in Israele l’attenzione era rivolta al dibattito interno, a Doha si lavorava per mettere nero su bianco l’intesa. Poco prima delle tre del mattino (ora italiana), i negoziatori israeliani chiamavano Netanyahu per informarlo che l’accordo era stato ufficialmente siglato. Il premier, secondo fonti vicine al suo ufficio, avrebbe ringraziato personalmente i diplomatici coinvolti, sottolineando l’importanza del loro lavoro.

La firma a Doha rappresenta un evento simbolico e geopolitico: per la prima volta dall’inizio del conflitto, le parti hanno accettato di impegnarsi su un percorso di tregua mediato da attori internazionali. Tuttavia, la fragilità dell’accordo è evidente: l’ultradestra israeliana continua a opporsi con forza, mentre Hamas affronta la sfida di gestire le aspettative di una popolazione esausta.

Le prime ore di oggi: speranze e incertezze

Con la luce del giorno, la tregua è entrata in una fase operativa. I primi tre ostaggi israeliani sono stati rilasciati, segnando un momento di sollievo per le loro famiglie e per l’opinione pubblica. Tuttavia, le domande restano: cosa succederà se una delle parti non rispetterà gli impegni presi?

Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha invitato Netanyahu a "trovare un modo per soddisfare le legittime preoccupazioni palestinesi". Il G7 ha definito l’accordo "uno sviluppo significativo", ma ha sottolineato la necessità di un impegno costruttivo per garantirne l’attuazione.

Uno sguardo al futuro

L’accordo di Doha è più una tregua che una pace. È una pausa, necessaria ma fragile, in un conflitto che ha definito il destino di milioni di persone e che, senza interventi strutturali, rischia di riprendere con rinnovata violenza. Il compito più difficile, ora, è tradurre la firma in azioni concrete.

Come mi ha detto un diplomatico presente alle trattative: "La firma è solo l’inizio. La vera sfida sarà mantenere fede agli impegni. E questo, nel Medio Oriente, è sempre stato il compito più difficile".

Nel frattempo, il mondo osserva con attenzione, sperando che questa tregua non sia solo l’ennesimo capitolo di una lunga storia di promesse infrante.


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