Pence lascia Trump al suo posto, ma si avvicina l'impeachment

- di: Brian Green
 
Ricorrere al 25/mo emendamento della Costituzione non sarebbe "nel migliore interesse della nostra nazione": con queste parole il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha risposto all'istanza con cui i democratici gli chiedevano, applicando appunto il 25/mo emendamento, di dichiarare Donald Trump inidoneo a svolgere le sue funzioni.
Il diniego a privare Trump delle sue prerogative presidenziali è stato scritto in una lettera che Pence ha trasmesso allo speaker della Camera dei Rappresentanti, la democratica Nancy Pelosi, tra le più determinate a mettere l'attuale presidente in condizioni di non esercitare il mandato, dopo quanto accaduto il 6 gennaio, con migliaia di persone che hanno assaltato e messo a soqquadro il Campidoglio, schierandosi accanto a "The Donald" che continua a non accettare il voto di novembre.

"Non credo che un atto del genere sia nel migliore interesse della nostra nazione né corrisponda alla Costituzione", ha scritto Mike Pence.
Una decisione che deve essere stata sofferta e che ora spiana la strada all'impeachment di Trump per la seconda volta, oggi con l'accusa di aver "incitato all'insurrezione" durante le violenze contro il Campidoglio.

La richiesta di messa in stato d'accusa sarà sottoposta a voto (e passerà, vista la maggioranza democratica) e segnerà l'apertura formale del secondo procedimento di impeachment Trump, che però potrebbe essere "salvato" dal Senato, dal momento che, per passare, la richiesta dovrà ottenere una maggioranza qualificata, quindi con l'adesione anche di molti repubblicani.
Ieri Trump, che sembra volere proseguire lungo la strada del disprezzo contro i suoi avversari, ha definito la procedura di impeachment "totalmente ridicola". Ma non si è limitato a questo, aggiungendo che l'iniziativa dei democratici ha causato "immensa rabbia" tra i suoi sostenitori, certo non contribuendo a stemperare i toni, sempre molto accesi.
"Questa è la continuazione della più grande caccia alle streghe della storia (…). Questo provoca una rabbia immensa", ha detto Trump parlando ai giornalisti dai giardini della Casa Bianca, aggiungendo comunque di non volere "violenza". Anche se, alla vigilia della partenza per Alamo, nel Texas meridionale, ha ribadito che il suo discorso virulento fatto appena prima dell'assalto a Capitol Hill (e che gli vale l'accusa formulata dai democratici) è stato "abbastanza adeguato" .

Poi, dal Texas, ha fatto arrivare dichiarazioni sorprendentemente concilianti, dicendo che "è giunto il momento della pacificazione per il nostro Paese, l'ora della pace e della calma".
Si prospettano, intanto, tempi complicati per coloro che saranno riconosciuti come responsabili dell'assalto al Campidoglio. Di fatto segnando una inversione nella linea morbida sin qui seguita, il procuratore generale di Washington, Michael Sherwin, ha detto che per molti dei sospettati le accuse, oggi più blande, saranno inasprite in quelle molto gravi di sedizione e cospirazione, che possono tradursi in lunghe condanne detentive.

Intanto, con il passare dei giorni, giungono conferme che la manifestazione culminata con i disordini era temuta dalle forze di polizia, che ne avevano intuito l'evoluzione da semplice protesta a rivolta. Lo attesterebbe una nota interna dell'Fbi (di cui il Washington Post è venuto a conoscenza) in cui i destinatari erano stati invitati a "smettere di chiamarla (la manifestazione dei sostenitori di Trump, ndr) una parata, un raduno o una dimostrazione. Andateci preparati per la guerra".

Trump, da parte sua, avvicinandosi la scadenza del mandato, continua la sua guerra con i social network, prendendosela in particolare con Twitter, che ha sospeso il suo account.
Hanno commesso, ha detto, "un errore catastrofico". Parole che non hanno impedito a YouTube (di proprietà di Google) di sospendere il canale di Donald Trump per almeno sette giorni e di cancellarne un video per aver violato la sua policy.
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