La trasparenza sulle spese dei parlamentari italiani, soprattutto quelle relative a viaggi, soggiorni e attività finanziate da soggetti privati, non è certo un tema recente. È un nodo antico, annoso e complesso, che attraversa da decenni il dibattito politico nazionale, senza che si sia mai giunti a una soluzione definitiva. Di recente, il tema è tornato al centro delle cronache con forza, grazie al richiamo del GRECO, il Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa, che nelle sue periodiche relazioni continua a segnalare l'inerzia italiana rispetto a questioni fondamentali di trasparenza e responsabilità istituzionale.
Parlamentari italiani e trasparenza: il richiamo del GRECO evidenzia un problema antico
La vicenda delle spese dei deputati per viaggi, soggiorni e incontri finanziati da soggetti privati mostra infatti un ritardo che risale almeno al 2016, anno in cui venne introdotto formalmente un Codice di condotta per i parlamentari italiani. Tale Codice avrebbe dovuto disciplinare chiaramente la rendicontazione di tali spese e garantire un quadro di regole trasparenti. Eppure, nonostante questa promessa di chiarezza e le linee guida predisposte dal Comitato consultivo sulla condotta dei deputati nel 2023, l’Italia attende ancora l'approvazione finale dell'Ufficio di presidenza della Camera, che tarda ormai da mesi. Questo ritardo sta rendendo il Codice un contenitore vuoto, incapace di rispondere alle aspettative della cittadinanza e agli standard europei minimi.
Proprio in Europa, infatti, la questione della trasparenza è affrontata con molta più chiarezza e rapidità. La Francia e la Germania, per fare due esempi vicini, hanno adottato norme precise che obbligano da tempo i parlamentari a dichiarare tempestivamente ogni contributo ricevuto da privati per viaggi o attività istituzionali. La Germania, ad esempio, è da tempo dotata di un rigoroso registro di trasparenza pubblica delle attività parlamentari finanziate esternamente, che consente ai cittadini di conoscere nel dettaglio i legami tra i deputati e le imprese o gruppi di pressione. Lo stesso accade nei Paesi scandinavi, dove la trasparenza non è soltanto una norma formale, ma un principio etico radicato e condiviso dalla classe dirigente e dall'opinione pubblica.
Anche la Francia, benché abbia avuto episodi controversi in passato, ha adottato regole molto severe già nel 2013, obbligando deputati e senatori a rendere pubblico ogni finanziamento o sponsorizzazione esterna ricevuta per spese di viaggio o partecipazione a eventi. Questa trasparenza, molto più chiara e puntuale di quella italiana, ha rafforzato nel tempo la fiducia verso le istituzioni democratiche.
Al contrario, in Italia, il continuo rimando delle decisioni decisive da parte delle istituzioni sta creando un vuoto pericoloso. Questa assenza di chiarezza alimenta non solo il populismo, ma rischia soprattutto di rafforzare il senso di distanza tra politica e cittadini. Non è solo questione di sapere quanto si spende—che resta un tema rilevante, certo—ma soprattutto di conoscere perché si spendono quei soldi e da dove provengono. La trasparenza non è un concetto economico, bensì un principio democratico ed etico: è attraverso questo che si misura la maturità di una classe dirigente.
In Italia, tuttavia, il dibattito resta spesso impantanato in polemiche populiste da una parte, e in resistenze corporative dall’altra. C’è chi invoca trasparenza per attaccare genericamente la politica, e chi, per contro, la evita o la teme, scambiando le richieste di chiarezza con presunti attacchi strumentali alla classe politica. Eppure, è proprio questa incapacità di uscire da una dinamica puramente polemica a ostacolare l’affermazione di regole certe e rigorose, lasciando così spazio a malintesi, sospetti e perdita di fiducia generale.
E la fiducia è proprio ciò che in altri Paesi europei viene coltivato attraverso norme di trasparenza sistematiche e funzionanti, capaci di prevenire conflitti d’interesse e di responsabilizzare davvero chi governa. L’Italia, invece, resta ferma in una terra di mezzo, tra promesse ripetute, norme mai approvate definitivamente e una cronica incapacità di affrontare concretamente il problema.
Il richiamo del GRECO, dunque, non è soltanto un avvertimento tecnico, bensì l’espressione di un’esigenza profonda che l'Italia non può più permettersi di ignorare. Non si tratta di essere populisti o demagogici, bensì di restituire al Parlamento italiano quel prestigio che si costruisce sulla competenza, sull’etica e sulla trasparenza vera, concreta, comprensibile per ogni cittadino. Solo così potremo riportare il confronto politico sul piano alto delle competenze, della responsabilità pubblica e della fiducia reciproca tra eletti ed elettori.