Parigi 2024, boxe: a vincere non è stata Iman Khelif, ma la stoltezza dei regolamenti

- di: Redazione
 
36 secondi e Angela Carini si è arresa, dopo essere stata colpita alla testa da un destro potente, preciso, come si potrebbe dire, chirurgico, perché, altra frase cara agli esteti della boxe, le si sono subito spento le luci. Lei che, salita sul ring per vincere, dopo il ritiro, in ginocchio, al centro del quadrato, ha pianto, quasi a volersi scusare, quasi a cercare di fare capire a tutti che non ce l'ha fatta perché non ce la poteva fare.
La sua avversaria, l'algerina Iman Khelif, ha vinto in virtù di un fisico che le altre non hanno, conseguenza di un disequilibrio ormonale condizionato da valori di testosterone alti, al punto tale che lo scorso anno per questo non le si è consentito di combattere ai mondiali. Ma il Cio ha altre regole, diverse da quelle dalla Federazione pugilistica, e quindi l'ha ammessa a Paris 2024, con l'esito di oggi.

Parigi 2024: a vincere non è stata Iman Khelif, ma la stoltezza dei regolamenti

Un gigante davanti ad una bambina forse sarebbe esagerato dirlo. Di certo un'atleta del fisico strabordante davanti ad una donna normale che il primo durissimo diretto ha mandato in tilt, facendole dire, nell'avvicinarsi all'angolo, ''non è giusto'' e ''mi ha fatto male''. Certo molto più male se a scagliarlo fosse stata una donna ''normale'' e non Iman che vince in virtù di una forza che fa paura, e non è un modo di dire.
L'atleta italiana, dopo la sconfitta, ha spiegato che sono stati due i colpi. ''Al secondo preso sul naso - ha detto - non respiravo più, sono andata dal maestro e con maturità e coraggio ho detto basta. Perché servono coraggio e maturità per fermarsi. Non me la sono più sentita di combattere".

Angela ha resistito giusto una manciata di secondi e, anche se ha detto che lei se la voleva giocare, è parso evidente che il peso delle polemiche delle ultime ore (alle quali si è data una connotazione politica che nulla c'entrava, ricca di stereotipi e cose false, come definire l'algerina transgender, lei che è nata e resta donna) sono state una zavorra insostenibile, come se tutto fosse scontato, tutto fosse già scritto, con lei agnello sacrificale davanti alla fiera.
La boxe è anche violenza, ma resta la noble art di sempre, che è tale se i contendenti si ritrovano indossando pantaloncini eguali e guanti delle stesso peso, quindi, almeno prima del gong iniziale, con le stesse probabilità di vittoria. Il resto lo fanno l'abilità e la forza. Mai solo la forza, anche se di eccezioni ce ne sono state.

Qui non è stato così perché lo squilibrio delle forze in campo era evidente, come anche il timore che potesse accadere qualcosa di realmente brutto. Per questo la fine anticipata dell'incontro ha forse fatto tirare un sospiro di sollievo a molti. Ma non è che la sconfitta di Angela Carini abbia risolto il problema, perché Iman Khalif tornerà a combattere con una avversaria diversa alla quale non farà certo sconti.
Però il suo caso propone, in modo drammatico, la necessità e l'urgenza che si metta ordine, che le regole non siano le stesse a seconda di chi organizza una competizione, perché non è accettabile che, se per la federazione mondiale della boxe l'algerina era una ''non donna'' per via del testosterone, per il Cio, al contrario è invece assolutamente nella norma. Si potrebbe dire che ciascuno è padrone di scegliersi i parametri che vuole, ma se è accettabile per gli sport non di contatto, non lo si può fare per la boxe il cui fine è la sopraffazione fisica dell'avversario, non certo convincerlo alla resa parlando dello stoicismo o della teoria della relatività.

Se lo sport è la traduzione della vita quotidiana in agonismo, le organizzazioni mondiali che lo governano dovrebbero darsi un indirizzo comune e, quindi, le stesse regole, perché il rischio che si corre è che si assista a disparità che diventano ingiustizie. Angela Carini ha lavorato per anni per farsi trovare pronta all'appuntamento, non sapendo chi si sarebbe trovata davanti, perché questo è lo spirito dello sport quando a gareggiare è l'uomo e la tecnologia non crea baratri tra simili. Però le regole ci debbono essere e sembra assurdo che, in un campo come questo (le donne che hanno troppo testosterone) la boxe non faccia quel che invece pratica da tempo l'atletica mondiale, facendo esercizio di buonsenso, mettendo paletti ben precisi, ma soprattutto non aggirabili per chi, donna, non rientra nei parametri.
Ne hanno fatto le spese atlete di alto livello soprattutto africane, dalla sudafricana Caster Semenya, alla burundese Francine Nyonsaba, alla kenyana Margaret Wambui, solo per citare le più famose, costrette a fermarsi o a gareggiare in competizioni nelle quali la sovrapproduzione di testosterone non determina un miglioramento anomalo delle prestazioni.

In tutta questa brutta storia, fatta di sacrifici bruciati e di strumentalizzazioni politiche, restano nitide le figure di Angela Carini e Iman Khelif. Se ora l'atleta italiana sarà contesa dalle televisioni, dai talk show che la costringeranno a ripetere all'infinito quel che è accaduto e quello che ha provato, quella algerina è attesa in patria da un popolo che l'adora. Chi avesse voglia di farlo (noi lo abbiamo fatto), vada a leggere l'home page di El Khabar, il principale quotidiano algerino in lingua araba, dove Iman è stata difesa a spada tratta dal Comitato olimpico nazionale che parla di una ''campagna frenetica lanciata da alcuni media stranieri'' contro di lei annunciando di ''avere avviato le misure necessarie per proteggerla''. E accanto a lei si sono schierati calciatori famosi, tra cui il milanista Bennacer.
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