Settore metalmeccanico, report FIM CISL: "In sei mesi, oltre 10.000 lavoratori in meno"

- di: Barbara Bizzarri
 
Il 2023 si apre per le tute blu con un calo netto di lavoratori, penalizzati a vario titolo da diverse circostanze, quali crisi aziendali generate da questioni finanziarie, crisi di settore o legate all’indotto, alle materie prime e al conflitto Ucraina-Russia. Alla fine del secondo semestre 2022 le tute blu erano 60.727, contro le 70.867 di giugno 2022, secondo quanto calcola la Fim Cisl in un report sullo stato delle crisi nel settore metalmeccanico, e dunque i lavoratori metalmeccanici sono 10.140 in meno.

Settore metalmeccanico, report FIM CISL: "In sei mesi, oltre 10.000 lavoratori in meno"

Come spiega il segretario generale della Cisl, Roberto Benaglia, questi numeri ci dicono che non aumenta la crisi nel settore metalmeccanico, ma è doveroso porre più attenzione a crisi storiche, Mezzogiorno, reindustrializzazioni e automotive: “Avere 60 mila posti di lavoro a rischio, in uno dei paesi più industrializzati è una questione sociale urgente che non possiamo permetterci di trascurare e che va affrontata. Nei mesi trascorsi il sistema industriale metalmeccanico ha dimostrato una tenuta produttiva e occupazionale migliore dei timori e delle criticità presenti, determinate soprattutto dai costi dell’energia. Ora è ancora più indispensabile un maggiore sfor zo del governo, che punti ad evitare la recessione industriale che si rischia in questo 2023 mettendo al centro delle politiche pubbliche la crescita dell’economia reale. Anche per questo motivo è molto importante per la Fim Cisl l’incontro del prossimo 18 gennaio con il Ministro Urso e i sindacati dei metalmeccanici, al fine di confrontarci sulle priorità e gli strumenti che devono caratterizzare una politica industriale da troppo tempo assente nel nostro Paese”.

I dati segnalano difficoltà strutturali che devono essere affrontate: "L’aumento delle crisi aziendali storiche cronicizzate, che non si risolvono, l’aumento dei casi di crisi nel Mezzogiorno del Paese dove si rischia il deserto industriale e occupazionale, i troppi casi di mancata reindustrializzazione nonostante gli impegni presi al MISE (MIMIT) e l’aumento delle difficoltà nel settore automotive, stante gli effetti della transizione ecologica che il sindacato dei metalmeccanici da tempo denuncia con proposte concrete”. Sono oltre 5mila (5.082) i lavoratori coinvolti in crisi finanziarie: si tratta in genere di piccole e medie imprese legate all’indotto dei settori aeronautico, dell’elettronica e dell’impiantistica. Alpitel, che ha 648 lavoratori in tutta Italia, è penalizzata dai “meccanismi legati alle gare a massimo ribasso che stanno mettendo fuori mercato molte delle aziende storiche dell’impiantistica. Su questo fronte abbiamo richiesto al MIMIT un tavolo sul settore Istallazioni e impianti”. Per quanto concerne, invece, le “crisi storiche” che erano già presenti all’epoca del Ministero dello Sviluppo Economico, restano sostanzialmente immutate, e irrisolte: nella metalmeccanica, i tavoli di crisi nazionale sono ben cinquantuno e su questi è previsto un incontro in breve al MIMIT. Si tratta di aziende sopra i 200 dipendenti (Blutec,Firema, Jsw Piombino ex-Lucchini, Jabil, ex-Ilva, solo per citarne alcune) per le quali ormai da anni stentano a decollare piani di reindustrializzazione concreti che restituiscano slancio alle produzioni e all’occupazione.

Nella metalmeccanica si osserva dunque, secondo il report, una situazione che seppure all’interno di un forte dinamismo complessivo della produzione industriale, trainata soprattutto dall’export, continua ad avere situazioni di sofferenza legate soprattutto al costo dell’energia e alla carenza di materie prime e componentistica. Se è vero che esiste un calo dei lavoratori rispetto al primo semestre dell’anno scorso, è anche vero tuttavia che, nella seconda parte dell’anno, si sono consolidate sofferenze in alcuni settori, in particolare per auto ed elettrodomestici, cui si sommano alcune particolari filiere come quelle degli appalti e delle installazioni che scontano una crisi, spesso legata alle gare al massimo ribasso anche da parte degli enti pubblici che le collocano fuori mercato. Le maggiori criticità si rilevano soprattutto per la mancanza di materie prime messa in moto dalla pandemia e per gli aumenti del costo dell’energia, che mette in difficoltà soprattutto i comparti più energivori, come siderurgia e metallurgia. A ciò si sommano anche le incertezze e i costi legati alle transizioni green e digitali, che mordono nella siderurgia e nell’automotive, mentre il riposizionamento delle catene del valore a livello globale sta impattando soprattutto sugli elettrodomestici.

Per esempio, Electrolux e Whirlpool hanno annunciato riorganizzazioni su tutti i loro siti in Italia e, se la scorsa settimana Electrolux ha raggiunto con i sindacati un accordo su 222 esuberi, affinché vengano realizzati con uscite volontarie e incentivate, Whirlpool ha annunciato la revisione strategica del portafoglio delle attività in tutta l’area Emea: c’è molta preoccupazione tra i sindacati sulla conferma degli investimenti che erano stati programmati per l’Italia. Nel report sono censite 206 crisi di settore, la maggior parte delle quali sono legate alla componentistica del settore auto dove lo stop ai motori endotermici di qui al 2035 sta creando molte difficoltà.
Anche la storica vertenza delle Acciaierie d’Italia (ex-Ilva) resta lontana dagli obiettivi di una ripresa produttiva e occupazionale, a quanto si deduce dal report. L’ingresso a maggioranza dello Stato, tramite Invitalia, nel nuovo assetto societario è stato rinviato e l’obiettivo di 5.7 mln di tonnellate a fine anno per il sito di Taranto “resta solo sulla carta, tanto che a dicembre 2022 di poco sono stati superati i 3 milioni di tonnellate”.
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