Con i suoi 1275 giorni di durata, il governo guidato da Giorgia Meloni è oggi ufficialmente il quinto esecutivo più longevo della Repubblica. Un risultato non scontato, se si considera che in 79 anni l’Italia ha visto alternarsi ben 68 governi. La premier ha celebrato il traguardo con un videomessaggio pubblicato sui social, sottolineando come questo dato rappresenti non solo una stabilità politica, ma anche un riconoscimento da parte del corpo elettorale e delle forze parlamentari che continuano a sostenere la coalizione di centrodestra.
La tenuta del governo Meloni: due anni e mezzo di legislatura e una nuova sfida istituzionale
Nel suo intervento, Meloni ha ringraziato “i tanti cittadini che continuano a darci fiducia, consentendoci di andare avanti con determinazione”. Ha rivendicato non solo la tenuta dell’esecutivo, ma anche il grado di coesione della maggioranza: “Non era scontato mantenere il consenso dopo due anni e mezzo, ancora meno scontato è riuscire a tenere unita una coalizione così ampia e variegata”.
La riforma del premierato al centro della visione politica
Il messaggio istituzionale è servito anche a rilanciare uno dei temi più delicati del progetto politico meloniano: la riforma costituzionale per l’introduzione del premierato. La presidente del Consiglio ha definito la riforma “fondamentale per un’Italia più stabile e forte”, spiegando che essa avrebbe il merito di “restituire la scelta ai cittadini e dare al governo il tempo necessario per realizzare il proprio mandato”.
Secondo Meloni, l’elezione diretta del capo del governo rappresenta la chiave per superare l’instabilità cronica che ha segnato decenni di storia politica italiana. La riforma prevede un meccanismo in cui il premier viene eletto direttamente dagli elettori, garantendo così una maggiore trasparenza e coerenza nella traduzione del voto in governo.
Il progetto, tuttavia, incontra resistenze non solo da parte delle opposizioni, ma anche in alcuni ambienti accademici e giuridici, che vedono nel premierato un rischio per l’equilibrio tra i poteri dello Stato. La strada verso l’approvazione è ancora lunga e passa attraverso un difficile confronto parlamentare e, con ogni probabilità, un referendum confermativo.
Una coalizione in equilibrio tra consensi e criticità
Nonostante il clima di celebrazione, l’esecutivo Meloni è consapevole di dover affrontare una fase complessa. L’equilibrio tra le anime della coalizione – da Forza Italia alla Lega, passando per Fratelli d’Italia – resta fragile, soprattutto in vista delle prossime tornate elettorali. I sondaggi, pur restando favorevoli alla premier, mostrano una dinamica più frastagliata nei consensi interni al centrodestra, con qualche tensione nei territori e nei gruppi parlamentari.
Inoltre, la gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la pressione economica derivante dall’inflazione e la difficoltà nel portare a termine alcune riforme strutturali rappresentano veri banchi di prova per il governo. A questo si aggiungono le fibrillazioni internazionali, con una guerra in Europa e la crescente competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina.
Verso la metà legislatura: nuove sfide in arrivo
Il raggiungimento di questo traguardo temporale apre simbolicamente la seconda metà della legislatura. Un tempo in cui le aspettative crescono e la pazienza dell’elettorato tende a diminuire. Se il primo biennio è servito a consolidare la leadership e impostare l’agenda, i prossimi anni saranno decisivi per tradurre le promesse in risultati tangibili.
La premier sa che, per mantenere il primato, dovrà affrontare e superare sfide complesse. Tra queste, il completamento del PNRR, il contenimento del debito pubblico, la gestione dell’immigrazione e il rilancio industriale nel contesto della transizione ecologica e digitale. La stabilità, in sé, non è più sufficiente: servono visione e capacità di attuazione.
Nel messaggio condiviso con gli italiani, Giorgia Meloni ha voluto lanciare un segnale di continuità, ma anche di ambizione istituzionale. L’obiettivo non è solo durare, ma “cambiare l’Italia”. Resta ora da capire se e quanto il sistema politico e sociale del Paese sarà in grado di accompagnare – o frenare – questa trasformazione.