Francia, Macron: "La libertà d'espressione cardine della Repubblica"

- di: Diego Minuti
 
Talvolta accade che l'importanza di una notizia, la sua capacità di attirare l'attenzione di chi ne viene a conoscenza, viene accresciuta da un commento, da una spiegazione. Quasi che l'evento che determina il commento sia un elemento imperfetto che necessita, per la sua comprensione, di parole pronunciate non dai protagonisti dell'evento stesso.
La notizia in questione è la decisione del settimanale parigino Charlie Hebdo di ripubblicare le vignette satiriche su Maometto che gli attirarono, cinque anni fa, l'ira degli estremisti islamici. La nuova pubblicazione delle vignette è stata decisa nell'imminenza dell'inizio del processo a dodici persone per gli attentati che nel gennaio del 2015, coinvolgendo anche la redazione del settimanale, provocarono la morte di dodici persone.

Una scelta che conferma la volontà della redazione (faticosamente ricostruita nella sua componente giornalistica e satirica, dopo essere stata decimata dall'incursione del commando terroristico) di volere andare avanti. Ben sapendo che questa decisione, come sta già accadendo in queste ore, provocherà proteste dal mondo islamico, anche quello che viene ritenuto moderato.
Una sottolineatura forse inutile, ben conoscendo come, usando l'arma della dissacrazione elevata a sistema di comunicazione, Charlie Hebdo sia andato sempre controcorrente, cosciente di potere raccogliere odio per i suoi servizi e le sue caricature che invece fanno parte di un dialogo tra le componenti della società francese, quelle rispettose della tradizione e le altre, tenacemente attestate a difesa della libertà di espressione, quali che siano le cose che si intendono affermare e sostenere.

Accade in Francia e forse sarebbe il caso di discuterne anche in Italia, dove un certo modo di fare giornalismo (o politica, o comunicazione, o informazione, o proselitismo, o dissacrazione: la scelta è libera) che negli anni a cavallo tra due decadi ormai lontane (Settanta/Ottanta), era piombato deflagrando sulla sonnacchiosa quotidianità del Paese, condizionata anche dall'atteggiamento generalmente iper-rispettoso della stampa nei confronti dei detentori del potere.

Ma in Francia il radicamento della stampa satirica, che diventa essenzialmente d'opinione, fa parte della stessa società ed sarebbe impensabile che il Paese se ne privasse.
Il giornalismo senza remore di contenuti ha reclamato a Charlie Hebdo un pesante tributo di sangue che avrebbe potuto anche condizionarne le scelte. Ma così non è stato e il periodico (che non è mai stato una miniera di soldi, se non nelle edizioni che hanno fatto seguito agli attentati, andate esaurite subito) è andato avanti, convinto che la sua battaglia di libertà non potesse fermarsi.

Il problema, davanti a casi come quelli di Charlie Hebdo, è sino a che punto la libertà di dire quel che si vuole sia assoluta, ma, soprattutto, se debba essere un principio condiviso e insindacabile.
Ed è questo che, da Beirut, dove si trovava in visita ufficiale per le complesse vicende politiche del Paese dei Cedri, Emmanuel Macron ha difeso con parole da cui è emerso chiaro che, per lui, la libertà di esprimere le proprie opinioni non è un principio su cui avviare un dibattito di merito. E' un diritto e tutti devono farsi carico di esso, anche se talvolta può offendere le coscienze di qualcuno.

Per il presidente francese la libertà di esprimere le proprie idee, nelle forme accettate dalla Legge, deve essere difesa ed in lui essa trova uno strenuo sostenitore. Affermazioni che possono anche suonare forti o fuor di luogo (visto cosa è accaduto cinque anni fa alla redazione di Charlie Hebdo), ma che rientrano nell'alveo di una visione libertaria che in molti altri Paesi si dice di perseguire, anche se la realtà è diversa.

Macron, horribile dictu, si sentirebbe dire dalle nostre parti, ha sostenuto che egli, da presidente, difenderà tutte le libertà, anche quella di blasfemia.
Rispondendo alla domanda di un giornalista (ovviamente francese), Macron ha detto che ''dagli inizi della Terza Repubblica c'è stata in Francia una libertà di blasfemia che è collegata alla libertà di coscienza. Sono qui per proteggere tutte queste libertà. Devo solo dire che in Francia possiamo criticare i governanti, un presidente, bestemmiare e così via''.

"Un presidente della Repubblica in Francia - ha aggiunto, sempre rivolto al giornalista - "non deve mai qualificare la scelta editoriale di un giornalista o di una redazione perché c'è una libertà di stampa che giustamente avete a cuore" ,
Ma quella del presidente francese, che non si è espresso direttamente sulle vicende di Charlie Hebdo, non è stata una difesa acritica, priva di ''se'' o ''ma''. Più semplicemente ha ribadito che quella d'espressione è per una società, almeno quella francese, è una libertà non negoziabile, assoluta, anche se con qualche accortezza.

Questa libertà di blasfemia, ha detto, ''implica, d'altro canto, una comune decenza, civiltà, rispetto'' e che con la libertà d'espressione ''c'è il dovere di non incitare all'odio'', riferendosi espressamente a quel che accade, quotidianamente, nel mondo dei social.
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