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Il monito di Leone alla Curia, l’avvertimento contro il potere che svuota la missione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il monito di Leone alla Curia, l’avvertimento contro il potere che svuota la missione

Parole nette, scandite senza indulgenze, pronunciate con il tono di chi conosce dall’interno i meccanismi del potere ma non intende esserne prigioniero. Papa Leone guarda alla Curia romana e chiede un cambio di passo che somiglia a una resa dei conti morale. Basta, dice, con le dinamiche legate all’esercizio del potere, con la smania del primeggiare, con la cura dei propri interessi. Non è un’esortazione generica, ma un richiamo diretto, quasi scomodo, che colpisce nervi scoperti e riporta al centro una questione antica quanto la Chiesa: il rapporto tra autorità e servizio.

Il monito di Leone alla Curia, l’avvertimento contro il potere che svuota la missione

Leone invita la Curia a disinnescare rancori, logiche di contrapposizione, sedimentazioni di risentimenti che nel tempo finiscono per irrigidire le strutture e appesantire le relazioni. Rancori che, sottotraccia, diventano metodo, stile, cultura. È qui che il Papa avverte il rischio più grande: una Curia che si ripiega su se stessa, trasformandosi in un luogo di equilibri interni, più attenta alla gestione del potere che alla sostanza della missione.

Nel suo discorso riaffiora con forza il riferimento a papa Francesco, evocato non come icona del passato ma come bussola ancora attuale. La vocazione missionaria della Chiesa, ricorda Leone, non è un capitolo opzionale né una formula retorica buona per i documenti. È il criterio che dovrebbe orientare ogni scelta, ogni riforma, ogni incarico. “Abbiamo bisogno di una Curia Romana sempre più missionaria”, afferma, mettendo in discussione implicitamente l’idea di una macchina amministrativa che si limita a garantire l’ordinaria amministrazione.

Il Papa chiede che istituzioni, uffici e mansioni siano pensati guardando alle grandi sfide ecclesiali, pastorali e sociali di oggi. Non ai giochi di potere interni, non alla difesa di prerogative, ma alla realtà concreta di un mondo attraversato da crisi, conflitti, solitudini, disuguaglianze. È un invito a spostare lo sguardo, a uscire dai palazzi per misurarsi con ciò che accade fuori, dove la credibilità della Chiesa si gioca ogni giorno.

C’è, nelle parole di Leone, anche una critica più radicale, quasi una diagnosi. Quando l’istituzione si chiude, quando l’esercizio del potere diventa fine a se stesso, la Chiesa rischia di somigliare a ciò che non dovrebbe essere: un apparato che si autoalimenta, un sistema che confonde l’autorità con il comando, la missione con la conservazione. Da qui l’insistenza sull’evitare la smania del primeggiare, sull’urgenza di liberarsi da una cultura del potere che corrode dall’interno.

È un discorso che parla alla Curia, ma che in realtà riguarda tutta la Chiesa. Perché il problema non è solo organizzativo, è spirituale e culturale. Si può riformare una struttura, ma se non cambia la mentalità, il rischio è di riprodurre gli stessi vizi con nuove etichette. Leone sembra dirlo con chiarezza: senza una conversione profonda, la riforma resta un esercizio di stile.

E qui il tono si fa più severo, quasi disincantato. Perché la storia insegna che le istituzioni, tutte le istituzioni, tendono a difendere se stesse prima della loro missione. Anche la Chiesa non è immune da questa tentazione. Anzi, proprio perché depositaria di un messaggio universale, rischia più di altre di smarrirlo dietro le liturgie del potere. Il monito di Leone suona allora come un avvertimento finale: una Curia che dimentica di essere strumento e non fine finisce per diventare un problema, non una risorsa.

In questo senso, il richiamo non è solo pastorale, ma profondamente politico nel significato più alto del termine. Perché mette in discussione il modo in cui il potere viene esercitato e giustificato. E perché ricorda che, senza missione, il potere ecclesiastico perde la sua legittimità. È una verità scomoda, ma necessaria: quando la Chiesa smette di interrogarsi sul proprio rapporto con il potere, non tradisce solo il Vangelo. Tradisce anche se stessa.

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