Crisi climatica, l’allarme di Legambiente: Italia hub degli sprechi di gas

- di: Barbara Leone
 
In piena crisi climatica l’Italia si conferma hub degli sprechi del gas metano dagli impianti a fonti fossili e ancora sprovvista di normative e misure stringenti in tema di monitoraggi, controlli e interventi delle perdite. Ma una possibilità di riscatto per il Belpaese sarà un rapido recepimento del nuovo Regolamento europeo approvato lo scorso maggio. È quanto denuncia Legambiente, che ha presentato oggi i dati di bilancio della II edizione della campagna “C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso” realizzata con il supporto di Clean Air Task Force (CATF), sui rischi delle dispersioni e sprechi di gas metano. Un nemico invisibile ma con un effetto fino a 86 volte più climalterante della CO₂, il cui 37% delle emissioni a livello globale nel 2023 deriva dal settore energetico. E se guardiamo ai Paesi importatori, l’Italia è tra quelli con la maggiore intensità di emissioni (8,5 Gg/Mtoe, corrispondenti a 8.500 tonnellate di metano per milioni di tonnellate equivalenti di petrolio).

Crisi climatica, l’allarme di Legambiente: Italia hub degli sprechi di gas

Secondo i dati raccolti da Legambiente e CATF, tra gennaio e maggio 2024, su 45 impianti a fonti fossili monitorati in Abruzzo, Lombardia e Piemonte (grazie alla termocamera per la rilevazione ottica di gas “FLIR GF320”) sono state trovate emissioni di gas metano in ben 34 (il 75,5%), per un totale di 120 punti di emissione, di cui 35 casi di venting (rilascio diretto in atmosfera) e 85 perdite da differenti componenti delle infrastrutture (bulloni, valvole, giunture, connettori, contatori), legate spesso a una  bassa o scarsa manutenzione. In otto giorni di analisi (condotte sul suolo pubblico) trovati in Lombardia emissioni significative in 14 impianti su 19 monitorati, 12 su 15 monitorati in Piemonte, 8 su 11 in Abruzzo. Tra gli impianti più critici in Lombardia la Centrale di stoccaggio di Sergnano (CR), quella di Settala (MI) e la Stazione di Valvola di Caviaga (LO): rispettivamente con 15 punti di emissione (10 perdite e 5 venting), 5 (1 perdita e 4 venting) e 5 perdite; in Piemonte l’impianto di regolazione e misura di Pernate (NO) con almeno 10 perdite e 2 venting e l’impianto REMI nei pressi di Gravellona Toce (VB) con 10 perdite; in Abruzzo l‘impianto REMI di San Salvo (CH), con 13 perdite e 1 caso di venting e quello di Casalforzato (CH) con 7 perdite e 1 venting.

Dati allarmanti, secondo Legambiente destinati a lievitare con le nuove infrastrutture a gas autorizzate e realizzate dal Governo Meloni e che non sono in linea con le informazioni che le aziende del settore del trasporto di gas hanno dichiarato ad ARERA nel 2022, pari appena a 53 dispersioni lungo circa 12mila km di rete ispezionata. Alla luce di questa frammentarietà e dei dati raccolti Legambiente lancia al Governo italiano 5 proposte per un recepimento veloce e lungimirante del nuovo Regolamento europeo: 1) anticipare e migliorare le disposizioni previste dal nuovo regolamento in tema di standard al fine di garantire che i Paesi fornitori riducano le proprie emissioni di metano. In un contesto più generale di “stop” alla realizzazione di nuove infrastrutture fossili, di abbandono del Piano Mattei e di maggiori risorse su rinnovabili, sviluppo della rete, accumuli, efficienza e riduzione dei consumi. 2) dotarsi di un Piano di riduzione delle emissioni, seguendo l’esempio positivo della Norvegia, inserendo un obiettivo di riduzione di almeno il 65% al 2030 anche nel PNIEC, la cui versione aggiornata e definitiva dovrà essere inviata Bruxelles entro la fine di giugno; 3) che il Piano contempli una maggiore trasparenza dei dati delle emissioni su tutti gli impianti a fonti fossili, indipendentemente dalla natura giuridica del gestore. 4) Censimento e Piano di bonifica dei pozzi di idrocarburi abbandonati, per una loro chiusura definiva e l’azzeramento delle emissioni. 5) L’introduzione di sanzioni economiche per i trasgressori, con attenzione a pratiche inquinanti come venting e flaring.

“Da ottobre 2022 con ‘C’è puzza di gas’ – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazione Legambiente – abbiamo portato alla luce numerose criticità rispetto allo stato di manutenzione delle infrastrutture fossili in Italia, denunciando l’anacronistica scelta del Governo Meloni di fare del Belpaese l’hub delle fossili e la necessità di cambiare il passo per ridurre le emissioni di metano, dotando il Paese di politiche di monitoraggio, misura e intervento degli impianti. Il Regolamento europeo offre l’opportunità all’Italia di riscattarsi, anche se presenta debolezze in alcuni punti (come le frequenze oltre i quattro mesi per le attività di rilevamento e riparazione delle perdite o l’introduzione di limiti di grandezza per la riparazione delle perdite identificate). Al Governo chiediamo di cogliere questa opportunità, dando il via a una stagione di politiche e normative puntuali e stringenti per combattere questo nemico invisibile e fare uscire l’Italia dalla dipendenza dalle fossili”.

Sommando i dati raccolti tra gennaio e maggio 2024 a quelli di bilancio dello scorso anno, la fotografia biennale (ottobre 2022- maggio 2024) è quella di 75 impianti monitorati in 17 giorni e in 6 regioni (Sicilia, Basilicata, Campania, Abruzzo, Piemonte, Lombardia), di cui 52 (quasi il 70%) soggetti a perdite di intensità differente, per un totale di 274 punti di emissione (213 perdite, 61 casi di venting).  

“Il tema delle emissioni di metano – aggiunge Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente – anche a fronte dei risultati dei monitoraggi, appare poco dibattuto ma importante, tanto da essere inserito dall’IPCC al terzo posto, dopo solare ed eolico, tra le misure con il maggiore impatto di mitigazione delle emissioni climalteranti al 2030. Ridurre notevolmente le emissioni di climalteranti è possibile, basta guardare l’esempio della Norvegia che produce il doppio del gas di quello consumato dal nostro Paese ma ha emissioni quasi 7 volte più basse delle nostre. Serve una volontà politica forte e ambiziosa. Non solo, ma ora che l’Italia potrà finalmente recepire il nuovo regolamento ci auguriamo che lo faccia fissando standard ambiziosi sulle importazioni di gas, aumentando la frequenza dei programmi di rilevamento e riparazione delle perdite e, di fondamentale importanza, non facendo pagare i costi delle manutenzioni nelle bollette di cittadini e cittadine”.

Il documento europeo è sicuramente un passo importante e, sebbene preveda l’innalzamento di alcuni standard e garantirà una maggiore trasparenza ed efficacia nella riduzione delle emissioni, secondo Legambiente lascia aperti alcuni nodi sui quali sarebbe potuto intervenire in maniera più ambiziosa e più in linea con gli obiettivi climatici. Il principale è sicuramente legato alla tabella di marcia fissata che non vedrà una sua piena applicazione per tutte le infrastrutture prima del 2030 e, ancor più grave, vedrà l’effettiva applicazione di standard sulle importazioni di gas verosimilmente a partire dal 2030. Altri punti critici riguardano i costi che dovrebbero essere a carico degli operatori e non dei cittadini, il differente trattamento delle attività di monitoraggio, il differente trattamento per le comunicazioni e le verifiche in base al tipo di gestione amministrativa delle infrastrutture, le tempistiche non particolarmente stringenti sui monitoraggi e interventi necessari – che devono valere per tutti i tipi di perdite indipendentemente dalla loro dimensione – e sull’elaborazione dell’inventario nazionale dei pozzi di idrocarburi abbandonati. Da considerare, inoltre, la possibilità di eliminare gli incentivi oggi previsti da Arera.

“C’è un chiaro bisogno di efficaci programmi di rilevamento e riparazione delle perdite – dichiara Théophile Humann-Guilleminot, Campaign manager, Methane Pollution Prevention di CATF -. Lo ha dimostrato il monitoraggio a Caviaga, in Lombardia, che ha portato a rilevare ben cinque fonti di metano in una piccola stazione di valvole vicino a un parco giochi per bambini. Una rapida chiamata alla centrale di emergenza ha portato sul posto un tecnico che, nel giro di venti minuti, è intervenuto cercando di riparare le perdite. Gli operatori devono tradurre le parole in azioni e implementare realmente le migliori pratiche nelle loro attività”.

La II edizione di “C’è puzza di gas” è partita dalla Campania a ottobre 2023, occasione in cui è stata presentato l’Osservatorio Metaneia, il primo Osservatorio italiano sulle emissioni di metano nel settore energetico promosso da Legambiente con la media partnership de La Nuova Ecologia. Poi proseguita in Puglia (gennaio 2024), in Abruzzo (febbraio 2024), in Emilia-Romagna a marzo, in Friuli-Venezia Giulia ad aprile. Toccando a maggio Lombardia, Piemonte e Umbria. Ad ogni tappa eventi di mobilitazione e sensibilizzazione, conferenze stampa, dibattiti, presidi e monitoraggi che hanno permesso di accendere i riflettori sulla dipendenza del Belpaese dalle fossili e sul problema delle dispersioni di gas fossile, cercando di sensibilizzare i cittadini, i decisori politici, spesso coinvolti insieme ai giornalisti nei press tour. 

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