Covid-19: lo smart working non è il rimedio per i mali della pandemia
C'è voluta la pandemia per fare entrare, nel linguaggio comune, almeno nel nostro Paese, un concetto, quello dello smart working, che prima era riservato solo a pochi iniziati. Ci è entrato non per scelta, ma perché il ''lavoro agile'' rientrava nelle opzioni che si prospettavano, per i nostri governanti, per contenere il contagio o, almeno, limitarne la pericolosità imponendo che le maggior parte delle attività lavorative si svolgessero da casa e non più, come prima, in ambienti comuni, dove il virus, temevano gli esperti, poteva propagarsi con maggiore facilità.
Una scelta, quella di predisporre le misure amministrative per consentire ai dipendenti di lavorare da casa, che ha avuto il suo peso nell'ambito della strategia complessiva per arginare il dilagare del contagio, ma che non ha raccolto, per come non raccoglie ancora, unanimi consensi.
E non solo perché ha ribaltato il concetto di lavoro seguito sino ad ora nel nostro come in altri Paesi, laddove lo stare assieme era, contemporaneamente, uno stimolo a produrre di più ed a consolidare quei legami personali che, se forti, migliorano il clima dei rapporti tra dipendenti. A tutto vantaggio della produttività del ''singolo'' e, quindi, della somma di tutti i 'singoli''.
Ma l'emergenza ci ha costretti a riconsiderare quei parametri che, sino a pochi mesi fa, erano fondamentali per fare sì che il lavoro non diventi qualcosa di straniante. Poi è arrivato il Covid-19 e, con esso, tutta una serie di preoccupazioni di cui il Governo s'è fatto carico, in modo meritorio, per combattere l'emergenza.
Quindi anche lo smart working che, ci si consenta una considerazione, non è la Xanadu che ci si vuol fare credere e per una serie di considerazioni che non tengono conto delle percentuali della produttività che, secondo gli avversatori di questa misura, avrebbe determinato un calo del 30 per cento nella produttività del settore pubblico. E se questo dato fosse vero, ci sarebbe da preoccuparsi ed anche molto.
La prima perplessità sullo smart working, che sono apparentemente è fuori di luogo, riguarda le ripercussioni che la chiusura di moltissimi uffici, soprattutto pubblici, ha avuto nei confronti di quella che potremmo chiamare ''economia di contiguità'', di cui forse non si tiene conto con sufficiente attenzione.
Parliamo di caffè, bar, pizzerie, piccoli ristoranti spuntati come funghi nelle vicinanze dei grandi agglomerati di uffici e che garantivano un guadagno, quale che fosse, derivato dai mille piccoli acquisti che garantivano gli impiegati. Oggi moltissimi di questi esercizi sono in difficoltà perché, all'improvviso, si sono ritrovati a diventare loro malgrado testimoni di una desertificazione dei clienti, costretti o anche felici di lavorare da casa. Una situazione che sarà impossibile reggere ancora a lungo perché se gli incassi non arrivano, restano da pagare le utenze e i fitti.
Si dirà che occorre sempre guardare all'interesse generale, ma ora forse è il caso di considerare che lo smart working non è la medicina per tutti i malanni.
Lo smart working ha un senso ed una giustificazione per chi non lavora a contatto ''fisico'' con l'utenza. Ora, invece, con gli orari ridotti, anzi ridottissimi, gli utenti devono superare enormi difficoltà per cercare di ottenere un servizio dovendo ''gareggiare'' con decine di altre persone che hanno le stesse esigenze e che, prima del Covid-19, potevano fruire dei servizi degli uffici nell'arco di più giorni. Torniamo al solito argomento. Si vuole evitare il riesplodere dei numeri della pandemia senza però tenere conto che, ad oggi, tale pericolo è sotto controllo e che, di contro, c'è una utenza esasperata da file ed attese lunghissime.
Per non parlare delle difficoltà di coloro che, nel giro di poche ore, hanno dovuto riorganizzare le loro vita (non solo quella lavorativa) per lavorare da casa, dove non sempre ci sono spazi sufficienti per installare una postazione di pc. E quando a lavorare da casa è una coppia il problema di dove sistemarsi, senza dare l'uno fastidio all'altro, è stato forse fonte di qualche problema. Tacendo del fatto che la contestuale chiusura di scuole e asili nido, per molti lavorare da casa ha significato dividere lo spazio con figli, anche piccoli, che hanno le loro esigenze, come ad esempio gridare o giocare rumorosamente.