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Si va in pensione sempre più tardi e le retribuzioni calano

- di: Marta Giannoni
 
Si va in pensione sempre più tardi e le retribuzioni calano
L’età media sfiora i 65 anni, aumentano gli occupati ma le retribuzioni reali calano. Il presidente Inps Fava (foto): “Sistema solido, ma serve più lavoro femminile”.

L’età della pensione si allunga ancora: ora è quasi 65 anni

La fotografia scattata dal Rapporto annuale Inps 2025, presentato a Roma il 16 luglio, è inequivocabile: si esce dal lavoro sempre più tardi. L’età media effettiva di pensionamento è passata da 64,2 anni nel 2023 a 64,8 nel 2024. In trent’anni, complice l’effetto combinato di riforme strutturali e restrizioni sulle uscite anticipate, si sono guadagnati ben sette anni di lavoro in più.

Il dato si riferisce alla totalità dei trattamenti pensionistici, non solo a quelli di vecchiaia. Eppure, anche restringendo il campo, le differenze restano marcate: chi va in pensione per vecchiaia lo fa in media a 67,2 anni, mentre chi opta per l’anticipo esce a 61,6 anni. Una forbice che riflette le disuguaglianze di percorso, e che diventa ancora più evidente guardando al genere.

Carriere spezzate, pensioni spezzate: il divario di genere non molla

A pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono le donne. L’Inps rileva che l’età media effettiva di pensionamento femminile è superiore di un anno e cinque mesi rispetto a quella maschile. Il motivo? Carriere lavorative più discontinue, minori possibilità di accedere all’anticipo e stipendi più bassi.

Il risultato finale è netto: gli uomini percepiscono in media 2.142,60 euro al mese, le donne si fermano a 1.594,82 euro. Un gap del 34%. Anche tra chi accede all’anticipo pensionistico, la differenza resta: 22,94% in più agli uomini.

“La vera riforma non è solo nei requisiti anagrafici, ma nella piena partecipazione delle donne al lavoro retribuito e continuativo. Il resto è ipocrisia istituzionalizzata”, commenta la demografa Linda Laura Sabbadini.

Fava (Inps): “Sistema solido, ma serve più lavoro e più giovani”

Durante la presentazione del rapporto, il presidente dell’Inps Gabriele Fava ha cercato di rassicurare: “Il sistema è solido”, ha dichiarato, ma ha subito rilanciato la necessità di allargare la base occupazionale, soprattutto in un contesto di declino demografico e invecchiamento della popolazione attiva.

Secondo Fava, occorre “orientare sempre più verso l’attività lavorativa giovani e donne” e incentivare “chi ha i requisiti per la pensione anticipata a restare al lavoro”. È una sfida non solo previdenziale, ma anche sociale, dato che la sostenibilità futura delle pensioni dipenderà sempre più dai contributi versati oggi.

Lavoro in crescita, ma i salari restano al palo

Una buona notizia arriva dal fronte occupazionale: i lavoratori che nel 2024 hanno versato almeno una settimana di contributi sono stati 27 milioni, con 400mila in più rispetto al 2023 e 1,5 milioni in più sul 2019.

A trainare è il settore privato non agricolo, che ha raggiunto 16,9 milioni di occupati, con 1,4 milioni in più rispetto all’anno pre-Covid.

Ma l’altra faccia della medaglia è amara: le retribuzioni contrattuali, dal 2019 al 2024, sono aumentate solo dell’8,3%, mentre l’inflazione ha fatto un balzo del 17,4%. Il potere d’acquisto è crollato di oltre nove punti.

L’Inps precisa che, grazie a interventi fiscali, le retribuzioni nette sono cresciute di più: +14,5% per i redditi più bassi, +16,9% per quelli medi, ma solo +12% per quelli alti. Tuttavia, la rincorsa ai prezzi è ancora lontana.

Le pensioni oggi: vecchiaia a mille euro, assistenziali a 500

Il reddito medio da pensione, includendo tutte le tipologie, è di 1.860,83 euro al mese. Le pensioni anticipate valgono 2.133 euro, quelle di vecchiaia 1.021 euro.

Le pensioni di invalidità si fermano a 1.151 euro, quelle ai superstiti a 855 euro. Ma il dato più drammatico riguarda le prestazioni assistenziali, ferme in media a 502 euro mensili.

Un sistema articolato e frammentato, che riflette diseguaglianze storiche e recenti, e che rischia di diventare insostenibile se non si affronta il nodo centrale: troppo pochi lavorano per sostenere troppi pensionati.

Calderone: “Ricette giuste, più entrate per fisco e previdenza”

Il Governo difende le sue scelte. La ministra del Lavoro Marina Calderone, commentando i dati Inps, ha parlato di “circolo virtuoso” innescato dalle politiche occupazionali. “Le ricette stanno dando i frutti sperati e si riflettono positivamente anche su entrate fiscali e contributive”, ha dichiarato.

Ma il punto critico resta: la partecipazione femminile al lavoro è ancora tra le più basse d’Europa. Nel 2024 il tasso di occupazione femminile in Italia era al 55,7%, contro una media Ue del 69,3%.

“Se non si aggredisce questo nodo, la sostenibilità delle pensioni resta un miraggio”, ha dichiarato l’economista Elsa Fornero.

Il rischio futuro: meno lavoratori, più pensionati

Il Rapporto Inps lancia l’allarme demografico: la forza lavoro italiana è destinata a ridursi nei prossimi decenni, mentre il numero dei pensionati aumenterà. L’unico modo per tenere in equilibrio il sistema è estendere l’occupazione a chi oggi ne è escluso.

Il che vuol dire più donne, più giovani, più inclusione. E forse, anche una diversa narrazione culturale: uscire dal lavoro non è più un diritto scontato a una certa età, ma l’esito di un percorso lungo, frammentato e incerto.

“Chi va oggi in pensione con trattamenti superiori ai duemila euro ha alle spalle carriere continue e salari dignitosi. Ma quanti under 40 possono dire lo stesso?”, si chiede il sociologo Maurizio Ambrosini.

L’urgenza di una riforma sociale, non solo previdenziale

I numeri parlano chiaro: l’Italia ha bisogno di più lavoro buono, più continuità, più uguaglianza. Non solo per garantire pensioni dignitose, ma per rimettere in moto l’ascensore sociale bloccato da decenni.

Riformare il sistema pensionistico senza toccare il mercato del lavoro, la parità di genere, le retribuzioni e l’inclusione dei giovani è un esercizio sterile. Il tempo stringe, e la curva demografica non aspetta.

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