Un decreto lampo per svuotare le celle di chi è a fine pena e riaccendere il dibattito sulla dignità dei detenuti.
Un decreto entro Natale per permettere a chi ha già scontato quasi tutta la pena di terminare la detenzione fuori dal carcere,
«dentro di sé o in un altro luogo». È l’auspicio lanciato dal presidente del Senato Ignazio La Russa (foto) nel corso della presentazione del libro «L’emergenza negata – Il collasso delle carceri italiane», firmato da
Gianni Alemanno e Fabio Falbo.
L’iniziativa, promossa dall’associazione Nessuno tocchi Caino guidata da Rita Bernardini,
ha offerto a La Russa il palco per un nuovo pressing sul tema del sovraffollamento carcerario, definito
una vera e propria lesione della dignità umana. Secondo le stime più recenti del Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria, i detenuti in Italia sono stabilmente oltre la capienza regolamentare,
con migliaia di persone stipate in celle progettate per molti meno ospiti (dati 2025).
L’appello dal palco e il richiamo alla dignità della pena
Dal microfono, La Russa ha ribadito un concetto che ripete da tempo: «In nessun caso la pena può ledere la dignità della persona».
E, aggiunge, «la prima occasione in cui la dignità viene violata è quando si sconta la pena in condizioni di sovraffollamento».
Da qui la richiesta di un provvedimento mirato, da adottare prima di Natale, rivolto a chi è ormai
alla coda della propria condanna.
L’idea è quella di una sorta di “mini-indulto selettivo”: una misura eccezionale e temporanea per consentire a detenuti
a fine pena di lasciare il carcere e completare la condanna in detenzione domiciliare o in altre strutture
controllate. Lo stesso presidente del Senato ha sottolineato che il provvedimento non dovrebbe valere
per i reati più gravi e, in particolare, per chi si è reso responsabile di violenze o fatti contro
la polizia penitenziaria.
«Non chiediamo la luna, ma una lampadina» ha sintetizzato La Russa, immagine con cui ha cercato di
ridimensionare l’intervento: non una riforma epocale, ma un gesto concreto e immediato per alleggerire celle
ormai al collasso (intervento riferito da più agenzie di stampa nella giornata del 2-3 dicembre 2025).
Il caso Gianni Alemanno: da “Mondo di mezzo” a Rebibbia
Il nome di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma ed ex ministro, resta centrale nella vicenda.
Alemanno è detenuto dal 1° gennaio 2025 nel carcere di Rebibbia, dove sta scontando
una condanna a un anno e dieci mesi per traffico di influenze illecite legato
alla maxi inchiesta «Mondo di mezzo».
Inizialmente l’ex primo cittadino aveva ottenuto l’affidamento ai servizi sociali, ma secondo quanto
ricostruito dai magistrati di sorveglianza avrebbe violato ripetutamente le prescrizioni: spostamenti
in varie città italiane giustificati con presunti impegni, risultati poi in più casi privi di fondamento.
Da qui la decisione di revocare le misure alternative e disporre il suo ingresso in carcere.
Un elemento suggestivo, che ha colpito anche l’opinione pubblica, riguarda la comunità romana di
Suor Paola, la religiosa legata al mondo sportivo laziale e diventata nota anche in tv:
era proprio quella struttura a ospitare Alemanno nella fase di affidamento. La suora è scomparsa
all’età di 77 anni, mentre l’ex sindaco si trovava già ristretto a Rebibbia, aggiungendo una nota
umana e amara alla sua vicenda.
Avatar in sala: quando l’intelligenza artificiale porta la voce dal carcere
Né Alemanno né Falbo hanno ottenuto il permesso per partecipare alla presentazione del libro,
né in presenza né in videocollegamento da Rebibbia. Per aggirare il muro burocratico, gli autori
hanno scelto una via inedita: un testo scritto da loro è stato “prestato” a due avatar digitali,
creati grazie a sistemi di intelligenza artificiale, che sullo schermo hanno preso la parola
al posto dei due detenuti.
Le immagini, basate su fotografie dei due autori, sono state animate da software in grado di
sincronizzare il movimento delle labbra con una voce sintetica che leggeva il loro discorso.
Una scena dal forte valore simbolico: la tecnologia che aggira le mura, portando fuori dal carcere
una voce che altrimenti resterebbe confinata.
La scelta degli avatar ha riacceso anche il dibattito sul ruolo dell’intelligenza artificiale
nello spazio pubblico e su quali strumenti possano — o debbano — essere messi a disposizione dei detenuti
per partecipare alla vita politica e culturale pur restando sotto la custodia dello Stato.
Il sovraffollamento carcerario: numeri, ritardi e soluzioni promesse
Il cuore del ragionamento di La Russa resta comunque il sovraffollamento. Le carceri italiane
registrano da anni un numero di detenuti superiore ai posti disponibili: secondo le rilevazioni aggiornate
al 2025, il tasso di affollamento supera spesso il 115-120% della capienza regolamentare, con punte ancora
più alte in alcuni istituti.
Il governo ha più volte annunciato un piano di potenziamento dell’edilizia penitenziaria, con nuove
strutture e la riapertura di reparti oggi inutilizzati. Lo stesso Alfredo Mantovano, sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio con delega alla sicurezza, ha ricordato pubblicamente che il programma per
ridurre il divario tra posti e detenuti richiederà almeno due anni di lavoro, tra cantieri
e assunzioni di personale (dichiarazioni rilanciate da varie agenzie stampa nei primi giorni di dicembre 2025).
Nel frattempo, la macchina giudiziaria continua a produrre condanne, mentre la risposta “fisica” del sistema
penitenziario non riesce a stare al passo. Da qui la spinta per misure deflattive, temporanee ma immediate,
come il prospettato decreto per il “fine pena a casa”.
Le reazioni politiche: aperture, prudenza e accuse di “pacco di Natale”
L’appello di La Russa ha trovato qualche apertura nel centrodestra, dove la proposta viene letta
come un gesto di attenzione verso il mondo penitenziario, senza intaccare in modo strutturale la linea
della fermezza. Anche in una parte dell’area riformista e garantista del centrosinistra non manca chi
guarda con favore a un intervento selettivo, purché rigoroso nei criteri.
Dall’altra parte, non sono mancate le critiche. Alcuni esponenti di opposizione e commentatori
parlano di “pacco di Natale”, temendo che la misura finisca per apparire come un regalo ai politici
condannati e ai cosiddetti “colletti bianchi” più che una risposta al dramma quotidiano di migliaia di
detenuti comuni. In filigrana, la polemica su un uso “politico” del tema carcere, ciclicamente evocato
in prossimità delle festività.
Sul piano istituzionale resta poi il nodo dei tempi: con il Parlamento impegnato nella sessione di bilancio,
non è affatto scontato che il governo riesca a confezionare e varare un decreto mirato nelle
prossime settimane. Molto dipenderà dalla volontà del ministero della Giustizia e dall’equilibrio interno
alla maggioranza.
Il quadro giuridico: tra liberazione anticipata e misure alternative
In Italia esistono già strumenti che riducono il tempo effettivo trascorso in carcere. La
liberazione anticipata consente uno sconto di pena — normalmente 45 giorni ogni sei mesi di
detenzione — per la buona condotta. A ciò si aggiungono le misure alternative come affidamento
in prova ai servizi sociali, semilibertà e detenzione domiciliare, tutte però soggette a criteri precisi
e al vaglio dei tribunali di sorveglianza.
Il “mini-indulto” evocato da La Russa si collocherebbe su un piano diverso: una misura straordinaria,
di taglio politico, che andrebbe definita con cura per evitare conflitti con l’assetto costituzionale e
con l’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, da anni attenta alla condizione delle carceri
italiane e al rispetto dell’articolo 3 della Convenzione (divieto di trattamenti inumani o degradanti).
La sfida, per il legislatore, sarebbe quella di costruire un provvedimento mirato, trasparente e
non discriminatorio, evitando automatismi e garantendo un filtro di valutazione reale sui singoli
casi, così da non trasformare l’intervento in un’amnistia di fatto.
Alemanno continua a fare politica dal carcere
Nel frattempo, Alemanno non ha interrotto la sua attività politica. Nel rispetto delle
procedure previste dall’ordinamento penitenziario, continua a intervenire nel dibattito pubblico attraverso
la sua pagina Facebook, dove vengono pubblicati messaggi e riflessioni riconducibili alla sua
linea politica.
L’ex sindaco è il fondatore di Indipendenza, un partito che lui stesso definisce sovranista di
matrice «rossobruna», incrocio atipico tra temi sociali e nazionalismo identitario. I suoi
sostenitori rilanciano i contenuti online, mentre dal carcere Alemanno si propone come voce critica
contro quello che considera un sistema penale e giudiziario inefficiente e ideologico.
La concomitanza tra la sua detenzione e il nuovo appello di La Russa ha inevitabilmente alimentato sospetti
e dietrologie, ma il presidente del Senato ha insistito sulla natura generale della proposta,
rivolta a tutti i detenuti in condizioni analoghe, e non cucita su misura per i singoli casi più noti.
Conclusione: una lampadina nel buio delle celle
Il possibile decreto sul “fine pena a casa” si colloca al crocevia tra umanità e sicurezza,
tra esigenze di sistema e casi individuali che catalizzano l’attenzione dei media. Sullo sfondo,
un dato difficilmente contestabile: le carceri italiane sono sovraffollate e spesso indegne di un
Paese che si definisce pienamente democratico.
La proposta di La Russa, partorita dal palco di una presentazione libraria con due autori dietro le sbarre
e “presenti” solo tramite avatar, suona come un test politico e morale per il governo. Sarà disposto l’esecutivo
ad accendere almeno quella “lampadina” evocata dal presidente del Senato, in attesa di riforme più profonde?
O il dibattito resterà confinato tra una polemica natalizia e l’ennesimo rinvio?
Nel frattempo, dietro le mura di Rebibbia e delle altre carceri italiane, migliaia di persone attendono di
capire se il loro ultimo tratto di pena si consumerà in una cella sovraffollata o in un contesto un po’ più
umano. E da quella risposta si misurerà, ancora una volta, il rapporto tra giustizia, pena e dignità
nel nostro Paese.