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Istat: più povertà nel 2024, redditi reali giù nonostante l'aumento nominale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Istat: più povertà nel 2024, redditi reali giù nonostante l'aumento nominale

L’Istat ha diffuso i dati aggiornati sulla condizione economica delle famiglie italiane, relativi al 2023 con proiezioni sul 2024, e il quadro che emerge è di crescente difficoltà. La quota di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale sale al 23,1%, in aumento rispetto al 22,8% dell’anno precedente. Parliamo di oltre 13 milioni e mezzo di persone coinvolte, un dato che riguarda direttamente una famiglia su quattro. In questo insieme rientrano sia i poveri assoluti che quelli relativi, oltre a coloro che vivono in condizioni di deprivazione materiale o in famiglie a bassa intensità lavorativa. Una platea ampia, diversificata, ma unita dalla difficoltà di sostenere un’esistenza dignitosa.

Istat: più povertà nel 2024, redditi reali giù nonostante l'aumento nominale

Nel 2023 il reddito medio disponibile delle famiglie è salito a 33.798 euro lordi annui. Una crescita in termini assoluti, che però non si è tradotta in un miglioramento del tenore di vita. Il motivo è semplice: l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto. Secondo l’Istat, l’inflazione media nel 2023 si è attestata al 5,7%, con picchi superiori all’8% su generi alimentari e utenze. In termini reali, quindi, il reddito effettivo delle famiglie è diminuito. Il cosiddetto potere di spesa — cioè ciò che effettivamente si può acquistare con quel reddito — è tornato indietro ai livelli del 2016, annullando anni di timida ripresa.

Cresce la fascia a bassa intensità lavorativa
Un altro indicatore preoccupante è l’aumento della popolazione che vive in famiglie a bassa intensità di lavoro, passata dall’8,9% al 9,2%. In termini assoluti, parliamo di circa 5,3 milioni di persone. Questo dato fotografa le situazioni in cui gli adulti presenti in famiglia lavorano poco o in modo discontinuo, spesso a causa di contratti precari, part-time forzato, malattia, o disoccupazione cronica. Le famiglie con un solo percettore di reddito e figli a carico, soprattutto se residenti nel Mezzogiorno, sono le più esposte. Al Sud la percentuale supera il 14%, quasi il doppio rispetto al Nord (7,6%).

Il peso dell’inflazione e l’illusione della ripresa
L’inflazione ha colpito in modo asimmetrico, penalizzando maggiormente le famiglie a basso reddito, che destinano una quota maggiore del bilancio domestico ai beni essenziali: alimentari, affitti, bollette. Ad esempio, secondo i dati Istat, la spesa media per l’energia elettrica è aumentata del 35% rispetto al 2021, mentre il costo medio di un paniere alimentare di base è cresciuto del 18% in due anni. La crescita nominale dei redditi, concentrata soprattutto nel lavoro autonomo e nei settori ad alta qualifica, non ha toccato le fasce più deboli del lavoro dipendente. Le misure governative — come il taglio del cuneo fiscale o i bonus una tantum — hanno avuto effetto temporaneo e non strutturale.

Una società che scivola silenziosamente verso la fragilità
Il rischio non è solo la povertà economica, ma quella sociale. Cresce la percentuale di chi rinuncia a cure mediche per motivi economici (il 6,7% della popolazione), di chi non riesce a riscaldare adeguatamente la casa (8,1%), di chi non può permettersi una vacanza (il 45,2% delle famiglie a basso reddito). La “povertà energetica” è diventata una categoria stabile. I giovani under 35, le famiglie monogenitoriali, i nuclei con almeno tre figli, gli immigrati residenti: sono queste le categorie più esposte. L’Italia, già tra i Paesi europei con il più alto tasso di disuguaglianza nei redditi netti dopo i trasferimenti, rischia di incancrenire le diseguaglianze se non si interviene ora.

La sfida politica: non basta la crescita, serve redistribuzione
Il messaggio che arriva da questi numeri è semplice e brutale: la crescita economica non basta. Se non si traduce in benessere reale, se non raggiunge le fasce più fragili della popolazione, diventa una statistica vuota. Serve una nuova centralità della redistribuzione nelle politiche pubbliche, non come misura emergenziale, ma come pilastro permanente. L’Italia è ancora un Paese a doppia velocità, dove chi parte svantaggiato ha sempre meno strumenti per risalire. E dove anche chi una volta si sentiva al sicuro, oggi guarda con timore al futuro.

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