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Istat: oltre 700mila over 50 lavorano anche dopo la pensione, resta il divario tra uomini e donne

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Istat: oltre 700mila over 50 lavorano anche dopo la pensione, resta il divario tra uomini e donne
Nel 2023, l’Istat ha fotografato un fenomeno in crescita ma ancora contenuto rispetto alla media europea: il 10,8% dei pensionati italiani tra i 50 e i 74 anni ha continuato a lavorare anche dopo aver ricevuto il primo assegno pensionistico. Parliamo di oltre 700mila persone che, per necessità o scelta, non hanno chiuso del tutto il capitolo lavorativo con il pensionamento. Una percentuale più bassa di quella registrata nell’Unione Europea, dove il tasso di pensionati attivi nei mesi successivi alla pensione si aggira intorno al 13%.

Istat: oltre 700mila over 50 lavorano anche dopo la pensione, resta il divario tra uomini e donne

Se si guarda al lavoro in corso al momento dell’indagine, la quota di pensionati effettivamente occupati in attività continuative è pari al 6,3%, ossia 418mila individui. Spicca l’elevata incidenza del part-time, che coinvolge oltre un terzo dei lavoratori in pensione, il 37,7%, contro il 17% registrato tra gli altri lavoratori. A livello territoriale, il Centro-Nord si conferma l’area con maggiore dinamicità: qui il tasso di pensionati attivi è decisamente più alto, toccando punte superiori al 15% nel Nord-Est. Al Sud, invece, la percentuale si ferma a poco più del 5%.

Un ritiro non sempre netto

Secondo l’Istat, il 71,8% dei pensionati italiani smette di lavorare al momento dell’accesso alla pensione, ma esiste un’ampia fascia – il 17,4% – che aveva già lasciato il lavoro prima di raggiungere il requisito per la pensione. Solo una minoranza, dunque, si mantiene attiva dopo il pensionamento, ma il dato racconta di una transizione non omogenea tra lavoro e inattività.

La penalizzazione delle donne: meno pensioni, meno lavoro

Il quadro tracciato dall’Istituto di statistica evidenzia uno squilibrio di genere marcato. Tra le donne dai 65 ai 74 anni, solo il 68,3% percepisce una pensione, a fronte dell’87,7% degli uomini. Ancora più grave la condizione di chi si trova priva sia di un lavoro sia di una pensione: in questa fascia, le donne rappresentano il 26,8%, cinque volte la percentuale maschile (5,7%). Anche nella fascia tra i 50 e i 64 anni la sproporzione è evidente: il 40,5% delle donne non lavora e non ha una pensione, contro il 15,4% degli uomini.

Pensionate meno coinvolte nel lavoro dopo i 60 anni

La partecipazione delle donne al lavoro post-pensionamento è più limitata. Solo il 6% delle pensionate continua a lavorare, mentre tra gli uomini la percentuale sfiora il 15%. A pesare sono carriere più brevi, tassi di occupazione inferiori e un numero significativo di donne che non hanno mai fatto ingresso nel mercato del lavoro ufficiale.

Età media della pensione stabile, ma con uno scarto di genere

In Italia si va in pensione mediamente a 61,4 anni, in linea con la media Ue. Ma il dato cambia se si guarda al genere: gli uomini accedono alla pensione intorno ai 60,9 anni, mentre per le donne la soglia si alza a 61,9 anni. Se si considera esclusivamente la pensione da lavoro, la media nazionale scende a 60,9 anni.

Italia indietro in Europa per numero di pensionati attivi

La quota di cittadini tra i 50 e i 74 anni che percepiscono una pensione è pari al 32,1%, un dato che colloca l’Italia tra i Paesi meno coperti sul piano previdenziale per questa fascia d’età. Peggio solo Spagna, Grecia e Danimarca. A ciò si aggiunge un altro dato rilevante: quasi un quarto degli italiani tra i 50 e i 74 anni non ha né un lavoro né una pensione, valore che supera di oltre otto punti la media europea.

L’Italia sconta un ritardo femminile sul fronte previdenziale

Secondo l’Istat, la distanza tra i dati italiani e quelli europei è attribuibile soprattutto al ritardo delle donne. In Italia, solo il 28% delle donne tra i 50 e i 74 anni riceve una pensione, contro il 40,7% della media europea. Per gli uomini il divario è più contenuto (36,5% contro 40,4%). La distanza complessiva di 13 punti rispetto alla media Ue è quindi dovuta principalmente alla minore copertura femminile, specchio di un mercato del lavoro che resta fortemente sbilanciato.
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