Sono un caso i maxistipendi dei manager di aziende di pubblica utilità

- di: Redazione
 
Cosa determina il compenso economico dell'amministratore delegato di una società di pubblica utilità? La simpatia? L'abilità nel risolvere i quesiti numerici del sudoku? La bravura negli assolo di ocarina? La velocità con cui si arrampica su una parete di roccia o si lancia in picchiata su una discesa innevata? Oppure, più semplicemente, i risultati che consegue e che, comunque, non possono essere enucleati dalla situazione economica complessiva? Domande destinate a non aprire nemmeno un piccolissimo dibattito tra amici, magari davanti ad una tazzina di caffè, perché ormai la crisi economica che accompagna la pandemia sembra avere affievolito la voglia di interrogarsi e magari arrabbiarsi. Un esempio? Ne prendiamo uno a caso. È datato 2020, ma è valido lo stesso, perché può certo indurre ad una riflessione.

Il caso è stato sollevato lo scorso anno, da un consigliere regionale di maggioranza in Emilia-Romagna, Igor Taruffi, a proposito dei compensi dell'amministratore delegato di Hera, Stefano Venier (nella foto). Hera (la denominazione non ha nulla a che fare con la dea greca: è l'acronimo di Holding Energia Risorse Ambiente) è un'azienda di pubblica utilità che opera nei settori energetici ed ambientali. Per capirne l'importanza basta ricordare che è presente in 265 Comuni della Città metropolitana di Bologna, delle province di Ferrara, Forlì-Cesena, Modena, Padova, Pesaro-Urbino, Ravenna, Rimini, Trieste, Teramo. È presente anche in 6 Comuni della provincia di Ancona, in 5 della provincia di Pistoia, in 3 della Città metropolitana di Firenze, in altri tre in provincia di Udine, nella Città metropolitana di Venezia e in provincia di Gorizia. Facendo un po' di conti, ha ben quattro milioni di utenti nel settore della fornitura di gas ed energia elettrica, di servizi idrici (acquedotto, fognatura e depurazione) ed ambientali (raccolta e smaltimento rifiuti).

Ma torniamo a Venier, peraltro manager molto stimato. Secondo il consigliere regionale poco sopra menzionato, nel 2019 a Venier è stato riconosciuto un compenso di 952 mila euro. Non male, in termini assoluti, ma sorprendente se si pensa che per il 2018 i compensi erano stati quantificati in 578 mila. A occhio e croce, quindi, nel 2019 ha percepito quasi il 40 per cento in più rispetto all'anno precedente. Iniziamo col dire, come è giusto che sia e per spazzare facili discorsi intrisi di demagogia, che il merito va retribuito, sempre e comunque, soprattutto nel settore economico perché è grazie ad esso che una iniziativa va avanti. Ma certo sorprende leggere le cifre dell'aumento perfettamente lecito riconosciuto a Venier, al netto del fatto che, come hanno tenuto a precisare da Hera, l'ad ha raggiunto "un indice di performance complessivo pari al 111,3 per cento". Ma la sorpresa che, a suo tempo, si generò sull'ampiezza dell'aumento può essere spiegata con una serie di motivi. Il primo dei quali si chiama "opportunità".

Anche se, nel 2019, la pandemia era solo una ipotesi di studio e niente di concreto, un aumento di stipendio e gratifiche di quelle dimensioni appare certamente elevato e, comunque, non in linea con la "sofferenza" generale del Paese. Qui non si tratta della sindrome di chi porta rancore o, peggio, odio verso chi gli sta sopra nella scala sociale, come in quella economica. Qui il discorso tocca la sensibilità, perché i soldi che sono andati in tasca a Venier (per l'amore del cielo, tutti meritatissimi) sono stati elargiti non da una company privata, che dei suoi soldi fa quello che gli pare, anche lanciarli da un elicottero, ma da una società di cui sono soci, per il 49 per cento, dei Comuni, ovvero tutti quelli che ricadono nel bacino territoriale dove Hera agisce e che hanno delle responsabilità nei confronti dei cittadini amministrati e, in questo caso, anche utenti/clienti.



Quindi qui il discorso del merito che va premiato c'entra sino ad un certo punto, perché si devono fare i conti con la gente e con le finanze di chi ne fa parte. Aumenti sono comprensibili, sono di incentivo al lavoro, ma qui forse si è andati oltre, senza entrare nello specifico di quello che di buono l'amministratore delegato ha sicuramente fatto per meritare la gratificazione. Ma forse occorrerebbe, ogni tanto, pensare al profilo delle singole realtà economiche. Perché Hera ha una funzione anche sociale, e non potrebbe essere altrimenti vista la sua composizione societaria, ed ha anche delle motivazioni che non possono essere regolate dalle leggi del mercato. C'è sicuramente da stare sicuri che tutto quello che è stato fatto in favore di Stefano Venier sia corretto al mille per mille. E probabilmente lo stesso accadrà quando, chiusi i conti, si decideranno i compensi del management di Hera, anche se forse, almeno in questo periodo disgraziato, sarebbe meglio alzare il piede dall'acceleratore di gratifiche ed aumenti. Sarebbe un bel segnale, almeno questo.

Non siamo completamente d'accordo con chi dice che bisognerebbe, anziché aumentare i compensi dei manager, diminuire le bollette, cosa che su di esse inciderebbe in maniera letteralmente impercettibile, limitandosi ad una mossa pubblicitaria e non altro. Ma magari si potrebbe anche pensare che con parte dell'ammontare di quegli aumenti si sarebbe potuto finanziare la formazione di qualcuno dei tanti giovani in cerca di certezze per il futuro.

E poi c'è la Borsa. Hera è una società quotata e, nel momento in cui è entrata in questa condizione, ogni sua mossa non può essere estemporanea, non può essere dettata dall'improvvisazione e dall'azzardo che muove le scelte dei raiders di Borsa. Tutto quello che accade è come se lo fosse all'aperto e, come è giusto che sia, può anche indurre a considerazioni o a interrogativi. Come quelli che hanno ingenerato le notizie che davano Hera ad un passo dall'acquisizione di un'altra società energetica, Ascopiave, di cui evidentemente facevano gola di 775 mila utenti ed i 12 mila chilometri di rete metanifera. Questa acquisizione avrebbe fatto da ciliegina sulla serie di operazioni condotte da Hera, l'ultima delle quali è stata quella che ha portato nel suo cospicuo portafoglio il 100 per cento delle quote di Cosea ambiente, altra società di pubblica utilità presente in una ventina di Comuni dell'appennino tosco-emiliano.

Uno degli argomenti discussi nei vari forum di soci o semplici risparmiatori riguarda le vendite di azioni di Hera. Se si va a dare un'occhiata ai prospetti che riassumono le vendite, c'è un dato che qualche domanda la induce a porre. Come il fatto che lo scorso anno il Comune di Bologna (come reso noto con tre distinte comunicazioni) ha venduto sette milioni e 800 mila azioni, cioè un numero più che doppio di quelle vendute nei cinque anni precedenti (che poi è solo il 2018, con tre milioni di azioni vendute). Qualcuno, quindi, e forse a buona ragione, si sta chiedendo se ed eventualmente come queste vendite abbiano inciso sul valore delle azioni Hera, che più d'uno reputa sottostimate. Ma questi sono giochi di Borsa sui quali è meglio non entrare. L'unica cosa certa, si legge in uno dei forum degli azionisti, è che "siamo ai valori di 3-4 anni quando Hera era un azienda molto più piccola di quella che è oggi e che faceva circa il 30% di utili in meno".
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