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Golden power sulle banche, Bruxelles stringe: risiko da riscrivere

- di: Bruno Coletta
 
Golden power sulle banche, Bruxelles stringe: risiko da riscrivere
Golden power sulle banche, Bruxelles stringe: risiko da riscrivere
Dalla messa in mora ai francesi in agguato: come cambia la partita tra UniCredit, Banco BPM e Crédit Agricole.

Nel grande gioco delle fusioni bancarie, l’Italia aveva tirato fuori una carta sempre più pesante: il Golden power. Ora però Bruxelles risponde con una mossa che vale doppio, perché non riguarda soltanto un dossier “caldo”, ma il perimetro stesso entro cui lo Stato può intervenire.

Il punto di svolta ha una data precisa: 21 novembre 2025. In quel giorno la Commissione europea ha deciso di avviare una procedura di infrazione inviando all’Italia una lettera di costituzione in mora (il primo gradino formale dell’iter). La contestazione: l’uso dei poteri speciali nelle fusioni bancarie rischia di entrare in collisione con le regole Ue su libertà di stabilimento, circolazione dei capitali e con le competenze di vigilanza attribuite alla BCE nell’ambito dell’SSM.

Che cosa contesta davvero Bruxelles

Tradotto in lingua corrente: per la Commissione, la normativa italiana (soprattutto per come è stata usata negli ultimi anni) può consentire al governo di condizionare o frenare operazioni tra banche in modo non sempre proporzionato o sufficientemente motivato. E in un settore dove la regia prudenziale è europea, la Commissione segnala il rischio di una sovrapposizione di competenze.

La procedura dà a Roma un orizzonte temporale chiaro: due mesi per rispondere alla messa in mora e spiegare (o correggere) le “zone d’ombra” evidenziate. Se la risposta non convince, il percorso può proseguire con un parere motivato e, in ultima istanza, arrivare davanti alla Corte di Giustizia.

Due binari: regole generali e casi concreti

La partita europea si muove su due piani. Da un lato c’è la contestazione “di sistema” (l’architettura del Golden power estesa al credito). Dall’altro c’è il binario che incrocia le grandi operazioni di M&A bancario e richiama il tema della compatibilità con l’articolo 21 del Regolamento Concentrazioni, la norma che delimita quando e come gli Stati membri possono intervenire su operazioni che rientrano nella competenza Ue.

In questo contesto rientra il caso che ha fatto da miccia politica e finanziaria: l’operazione UniCredit–Banco BPM. A metà luglio 2025, in una lettera riportata da più ricostruzioni giornalistiche, la Commissione ha segnalato che l’Italia potrebbe essere chiamata a ritirare alcune condizioni poste con un decreto del 18 aprile 2025 sull’operazione, chiedendo chiarimenti entro un termine ristretto.

UniCredit–Banco BPM: perché l’offerta è finita in un vicolo cieco

Il finale, per ora, è noto: 22 luglio 2025 UniCredit ha annunciato il ritiro dell’operazione su Banco BPM, spiegando che la condizione legata all’autorizzazione Golden power non risultava soddisfatta e che quel quadro aveva “deformato” il normale processo di offerta, rendendo complicato il dialogo con il mercato.

Il cuore del braccio di ferro stava nelle condizioni: tra quelle discusse pubblicamente, figuravano vincoli su presenza in Russia (tempi e modalità di uscita/ulteriore riduzione delle attività), e paletti che avrebbero inciso sulla flessibilità gestionale post-fusione (con effetti potenziali su politiche di impiego e struttura di bilancio). Su questo terreno Bruxelles ha insistito su un concetto-chiave: le misure nazionali devono essere proporzionate, coerenti con il diritto Ue e non invadere il campo della vigilanza prudenziale europea.

Il governo: “intervento normativo in arrivo”

La risposta politica italiana, almeno nelle dichiarazioni, è stata immediata. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha indicato l’intenzione di portare una proposta normativa per superare le obiezioni europee.

Dietro le quinte c’è anche un tema pratico: l’estensione del Golden power negli anni più recenti ha generato un flusso enorme di notifiche e valutazioni. Un “ingorgo” che, nella lettura di molti addetti ai lavori, finisce per abbassare la soglia di attenzione: quando tutto è strategico, niente lo è davvero.

Crédit Agricole e Banco BPM: il fattore francese entra nella stanza dei bottoni

Mentre Roma e Bruxelles si misurano sui confini del potere pubblico, sul mercato si muove un attore con un’agenda chiarissima: Crédit Agricole. A dicembre 2025 la banca francese risulta primo azionista di Banco BPM con una quota attorno al 20% (in alcune rilevazioni 20,1%) e ha chiesto alle autorità di vigilanza di poter salire ulteriormente: l’asticella evocata in più ricostruzioni è 29,9%, soglia che consente di rafforzarsi senza scattare automaticamente nell’obbligo di un’offerta totalitaria.

Non è solo una questione di percentuali. È una questione di governance. In vista del rinnovo dei vertici nella primavera 2026, la presenza di un socio così forte sposta gli equilibri: più peso nei consigli, più influenza sulle scelte strategiche, più “voce” sul destino industriale della banca.

E qui arrivano le dichiarazioni che fanno rumore: l’amministratore delegato di Crédit Agricole, Olivier Gavalda, in varie interviste tra novembre 2025 e dicembre 2025 ha lasciato intendere che una fusione con Banco BPM “avrebbe senso” e che il gruppo sarebbe pronto a valutare un’eventuale proposta. Un messaggio che, nel linguaggio bancario, suona come: la porta è socchiusa, spingete voi.

La soglia OPA: non 29, ma 30 (e perché conta)

Attenzione a un dettaglio che cambia la prospettiva. Nel dibattito pubblico è circolato spesso il numero “29”, ma la riforma collegata alla Legge Capitali (esame preliminare del Consiglio dei ministri dell’8 ottobre 2025) punta a una soglia unica OPA al 30% per le società quotate, superando il vecchio schema che in alcuni casi prevedeva il 25%. La differenza non è cosmetica: alza il livello a cui scatta l’obbligo di comprare “tutto”, rendendo più agevole per un azionista costruire una posizione forte senza dover lanciare subito un’offerta totalitaria.

In altre parole: se il quadro normativo vira verso il 30% e il socio francese resta “sotto”, la pressione si sposta dai meccanismi automatici di mercato alla politica industriale, alle autorizzazioni di vigilanza e — inevitabilmente — al Golden power.

Il paradosso: Golden power ammorbidito… o più selettivo?

La domanda che rimbalza nelle sale operative è semplice: il Golden power verrà alleggerito? Bruxelles non chiede all’Italia di rinunciare a proteggere interessi legittimi, ma di farlo in modo mirato, motivato e coerente con il diritto Ue.

Se la correzione sarà davvero “chirurgica”, il risultato potrebbe essere controintuitivo: meno interventi, ma più solidi; meno condizioni “a grappolo”, ma più attenzione alle misure che hanno un nesso chiaro con stabilità e sicurezza. Un Golden power meno “onnivoro”, insomma, ma potenzialmente più efficace quando serve davvero.

Scenari 2026: tre partite che possono incastrarsi

1) Roma risponde a Bruxelles

La finestra dei due mesi dalla messa in mora del 21 novembre 2025 è una corsa a ostacoli: spiegare, difendere, ma anche correggere. La traiettoria della procedura dipenderà da quanto l’Italia convincerà la Commissione sul rispetto delle regole europee e sulla non interferenza con la vigilanza BCE.

2) Banco BPM prepara la nuova governance

Il rinnovo degli organi e le scelte statutarie, alla luce delle norme più recenti sul mercato dei capitali, diventano il terreno dove capire se Crédit Agricole resterà “semplice” azionista forte o pretenderà un ruolo più strutturato. In quella fase, ogni parola pesa: soprattutto quelle che evocano integrazioni future.

3) Crédit Agricole attende (e spinge) sulla vigilanza

Salire verso il 29,9% richiede un dialogo con la vigilanza e un disegno credibile: non basta comprare, bisogna anche spiegare cosa si vuole diventare. Ed è qui che l’ombra lunga del Golden power torna sul tavolo: quale versione della norma troverebbe un’operazione di integrazione vera e propria?

Il punto politico: Europa contro Stati, o regole uguali per tutti?

L’Italia difende da tempo l’idea che il risparmio e la stabilità del sistema creditizio siano materia “sensibile”. Bruxelles risponde con un principio altrettanto identitario: il mercato unico vive di regole comuni, e le eccezioni nazionali devono restare eccezioni, non diventare la regola.

Nel mezzo, le banche fanno quello che fanno sempre: cercano scala, efficienza, sinergie. La novità è che, stavolta, la scacchiera non è soltanto finanziaria. È giuridica, politica e inevitabilmente europea

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