Secondo le stime diffuse dall’Idf, circa 480mila palestinesi hanno lasciato Gaza City dall’inizio dell’offensiva militare israeliana contro Hamas. Un dato che dimezza la popolazione di una città che contava circa un milione di abitanti, trasformando un centro urbano in un territorio svuotato e instabile. La fuga verso il sud della Striscia non è solo un dramma umanitario, ma un fattore che condiziona gli equilibri economici e sociali della regione.
Gaza City, metà della popolazione in fuga
Il conflitto ha già prodotto conseguenze tangibili. Secondo fonti mediche citate dall’agenzia palestinese Wafa, almeno quattro persone, tra cui due bambini, sono state uccise dagli attacchi nella sola giornata di oggi. La distruzione delle infrastrutture civili – abitazioni, scuole, strutture sanitarie – ha un impatto diretto sulla capacità produttiva residua di Gaza. Le attività economiche, già marginali a causa del blocco, sono praticamente ferme: il commercio informale è ridotto al minimo e il mercato del lavoro è stato annientato.
Lo shock demografico
Lo svuotamento della città modifica gli equilibri interni alla Striscia. La pressione sui centri del sud, dove si riversano gli sfollati, genera problemi di approvvigionamento idrico, energetico e sanitario. L’afflusso improvviso di centinaia di migliaia di persone spinge al collasso strutture già fragili, con conseguenze su igiene, ordine pubblico e disponibilità di beni essenziali. In questo scenario, i costi di gestione dell’emergenza ricadono in primo luogo su organizzazioni internazionali e Paesi confinanti, con l’Egitto in posizione particolarmente delicata.
Aiuti e diplomazia
Per tamponare la crisi, si muovono anche iniziative dal basso. La Global Sumud Flotilla, partita da Portopalo di Capo Passero con 42 imbarcazioni e affiancata da sei navi dalla Grecia, tenta di portare aiuti umanitari via mare. Un’operazione simbolica, ma che segnala la difficoltà di aprire corridoi terrestri e la necessità di soluzioni straordinarie. Sul piano diplomatico, la comunità internazionale è chiamata a finanziare programmi di assistenza sempre più onerosi, in un contesto in cui le stesse agenzie Onu denunciano carenze di fondi.
Il costo economico della guerra
La distruzione sistematica del tessuto urbano di Gaza City avrà effetti a lungo termine. Ricostruire una città richiede investimenti miliardari, che difficilmente la comunità internazionale potrà sostenere senza un quadro politico stabile. Per Israele, il costo è rappresentato dal mantenimento di una campagna militare prolungata e dalla pressione internazionale crescente. Per i Paesi arabi vicini, la prospettiva di flussi migratori aggiuntivi costituisce una variabile economica e politica difficile da gestire.
Le voci dal territorio
Le parole di padre Gabriel Romanelli, parroco cattolico di Gaza, riassumono il punto di vista interno: «Le armi hanno preso il sopravvento». Secondo il sacerdote, oltre 18mila bambini sarebbero già morti dall’inizio del conflitto. Al di là delle cifre, la testimonianza richiama l’attenzione su un’emergenza che non è più soltanto locale, ma che rischia di destabilizzare l’intera area mediterranea.
Prospettive
Lo scenario attuale conferma che la crisi di Gaza non è più confinabile a un dossier di sicurezza. È ormai una questione economica e sociale regionale, con implicazioni che toccano mercati, risorse energetiche e dinamiche migratorie. La fuga da Gaza City rappresenta un punto di rottura: senza interventi rapidi e coordinati, il rischio è che l’emergenza diventi strutturale, consolidando un quadro di instabilità permanente.