Il debito pubblico francese, salito oltre il 110% del Pil, e un deficit persistente superiore al 5% hanno acceso i riflettori su Parigi come nuovo elemento di vulnerabilità per l’eurozona. A lanciare l’allarme è il Centro studi di Unimpresa, secondo cui la seconda economia europea, con un Pil di circa 3.200 miliardi di euro, rappresenta oggi uno dei principali fattori di incertezza per la stabilità finanziaria dell’Unione monetaria.
Francia, debito oltre il 110% del Pil: il rischio Parigi mina la stabilità dell’eurozona
Il dato che più preoccupa è la combinazione di squilibri fiscali e instabilità politica, che rende difficile l’attuazione di politiche credibili di consolidamento.
Mercati finora prudenti
La reazione dei mercati, al momento, resta contenuta. Tra metà e fine agosto lo spread Btp-Bund è aumentato di 10 punti base, mentre il Bono-Bund spagnolo si è allargato di 7, mantenendosi comunque su livelli bassi rispetto ai picchi oltre i 300 punti base dell’ultimo decennio. Anche i tassi swap decennali, oggi intorno al 2,6-2,7%, risultano inferiori rispetto a luglio.
Ma secondo gli analisti di Unimpresa, il vero rischio risiede nella dimensione del debito francese: Parigi pesa per oltre il 20% del debito complessivo dell’eurozona. Un peggioramento delle sue condizioni di finanziamento avrebbe effetti immediati sulla curva dei rendimenti degli altri Paesi e sul costo medio del debito sovrano europeo.
Debito in mano a investitori esteri
Un altro elemento critico è la struttura della detenzione del debito. Oltre la metà dei titoli francesi è nelle mani di investitori esteri, contro una quota domestica più robusta nel caso italiano. Questo rende la Francia più esposta a possibili shock di fiducia e a dinamiche di fuga dei capitali.
Le agenzie di rating hanno già segnalato la fragilità del quadro: Fitch e Moody’s mantengono outlook negativo, mentre S&P ha declassato la Francia ad “AA-” già nel 2023.
La BCE tra stabilità e rischi di contagio
Il “rischio Francia” diventa anche una variabile per la politica monetaria della Banca centrale europea. In caso di inasprimento generalizzato delle condizioni finanziarie, incoerente con un’inflazione tornata verso il 2%, la BCE potrebbe valutare un’accelerazione nel taglio dei tassi. Diverso invece il caso in cui le tensioni restassero circoscritte a Parigi: qui lo strumento teoricamente attivabile sarebbe il Transmission Protection Instrument (TPI), creato per contenere distorsioni nella trasmissione della politica monetaria.
Tuttavia, ricorda Unimpresa, il TPI non può essere utilizzato per compensare squilibri derivanti da scelte politiche interne o da politiche fiscali insostenibili. In altre parole, Francoforte non può trasformarsi in un ammortizzatore delle difficoltà domestiche di un singolo Paese fondatore dell’Unione.
Il paradosso francese
La Francia si trova oggi in una posizione paradossale. Tradizionalmente parte del “nocciolo duro” dell’eurozona, oggi è Parigi – più che Roma o Madrid – a minacciare l’equilibrio finanziario dell’area. Mentre l’Italia, osserva Unimpresa, “ha compiuto sforzi significativi in termini di disciplina fiscale”, la seconda economia dell’euro rischia di esportare instabilità a causa delle proprie fragilità politiche e di bilancio.
La posta in gioco per l’eurozona
Per l’Unione monetaria la sfida è duplice. Da un lato, occorre garantire coerenza e credibilità alle regole fiscali, che tornano al centro del dibattito con la riforma del Patto di stabilità. Dall’altro, è necessario assicurare che la politica monetaria resti uniforme nell’intera area, senza trasformare la BCE in strumento di salvataggio permanente.
Come sottolinea Giuseppe Spadafora, vicepresidente di Unimpresa, “la Francia deve recuperare credibilità sui conti pubblici, perché dalla sua solidità dipende l’equilibrio complessivo dell’eurozona”.