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Tempesta sui mercati, cosa accade alle M&A italiane sotto i riflettori

- di: Matteo Borrelli
 
Tempesta sui mercati, cosa accade alle M&A italiane sotto i riflettori
Le grandi manovre di fusione e acquisizione nel sistema bancario nazionale resistono alla bufera dei dazi e ai richiami di Bruxelles: il risiko va avanti, ma lo scontro su governance e golden power si fa più acceso.
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Mps insiste su Mediobanca: “Un’unione ci renderebbe più forti”
La volatilità dei mercati, innescata dall’escalation protezionista di Donald Trump e dai timori di una nuova frammentazione commerciale, non ha rallentato l’offensiva di Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca. Anzi, il gruppo guidato da Luigi Lovaglio (foto) continua a spingere sull’acceleratore, convinto che la fusione con Piazzetta Cuccia rappresenti un’occasione storica.
L’assemblea degli azionisti di Mps, in calendario il 17 aprile, sarà decisiva per approvare l’aumento di capitale funzionale all’offerta pubblica di scambio. L’operazione prevede un concambio di 2,3 azioni Mps per ogni azione Mediobanca, valutando quest’ultima circa 13,3 miliardi di euro. Il Ministero dell’Economia, insieme a Caltagirone, Delfin e alle principali fondazioni bancarie (Cariplo, San Paolo, Mps), è orientato a votare sì, con una quota complessiva superiore all’1% del capitale.
Lovaglio ha ribadito che l’attuale fase di incertezza “non intacca la logica industriale dell’operazione”, affermando che, “se fossimo già un’unica realtà oggi, saremmo più forti e capaci di reagire più rapidamente”. Secondo l’ad, l’aggregazione permetterebbe di rafforzare il capitale CET1 e ottimizzare i ricavi, puntando a una dimensione più solida per affrontare i rischi sistemici.
Nonostante il prezzo di Borsa continui a penalizzare Siena rispetto a Mediobanca — l’OPS resta “a sconto” del 4% (5,7% con l’effetto dividendi) — l’operazione sembra destinata a proseguire senza ripensamenti. Nessun utilizzo del “Mac clause” (material adverse change), nemmeno nel pieno della turbolenza di aprile. La Bce, nel frattempo, ha già dato il via libera alla computabilità delle nuove azioni come capitale primario, subordinando il via libera definitivo alle modifiche statutarie da approvare nell’assemblea del 17.

Unicredit-Bpm: l’incognita Anima e la mina francese
Sul fronte dell’altra maxi-operazione, quella tra Unicredit e Banco Bpm, il dossier è ancora più intricato. Andrea Orcel ha fatto sapere che l’OPS su Banco Bpm proseguirà “solo se coerente con i parametri finanziari già comunicati”, spiegando che “valuteremo con attenzione l’impatto sul capitale e sulla capacità di distribuzione post-Anima”. L’OPA su Anima Holding, appena conclusa, ha portato Banco Bpm a rilevare l’89,9% della Sgr per 1,5 miliardi di euro, con un impatto stimato sul CET1 di circa 268 punti base.
Proprio quest’operazione – conclusa venerdì scorso – sarà determinante per la scelta di Piazza Gae Aulenti di procedere o meno. Non a caso Orcel mantiene il massimo riserbo su un eventuale rilancio dell’offerta: “no comment”.
Ma l’altro grande ostacolo si chiama Crédit Agricole. Il gruppo francese, già salito al 9,2% di Banco Bpm nel 2022, ha appena ottenuto l’autorizzazione della Bce a incrementare la propria partecipazione fino al 19,9%. Il tempismo è sospetto. La mossa rafforza il fronte anti-Unicredit e apre un nuovo fronte nel risiko bancario europeo. A parole, Crédit Agricole assicura di non voler lanciare una contro-offerta, ma la possibilità di consolidare la propria presenza in Italia — anche in chiave di alleanza con la stessa Banco Bpm — resta più che concreta.

Bruxelles richiama l’Italia sul golden power
A complicare il quadro arriva la mossa della Commissione europea, che con una lettera inviata nei giorni scorsi al governo italiano ha chiesto chiarimenti sull’utilizzo del golden power nelle operazioni bancarie. Secondo Bruxelles, il ricorso a poteri speciali per bloccare acquisizioni nel settore del credito — ritenuto “strategico” dall’Italia — deve comunque rispettare i limiti previsti dalla normativa europea, che affida alla Bce il ruolo principale nella valutazione delle operazioni cross-border.
Il caso italiano preoccupa perché il golden power potrebbe diventare uno strumento politico per interferire in operazioni di mercato. Sul dossier Unicredit-Bpm, ad esempio, l’esecutivo dovrebbe esprimersi entro fine aprile. In ambienti finanziari si scommette che non verranno posti veri ostacoli, anche per non irritare Francoforte. Ma il richiamo di Bruxelles suona come un avvertimento: la partita non è solo economica, è anche geopolitica.

Mercati nervosi, ma il risiko bancario prosegue
Lo sfondo di questa doppia partita è rappresentato dalla tempesta finanziaria provocata dai nuovi dazi americani, che hanno scatenato vendite massicce sulle Borse europee. Il comparto bancario è stato tra i più colpiti, salvo poi recuperare terreno nelle ultime sedute. Il nervosismo resta alto, alimentato anche dalle tensioni su Taiwan e dalle difficoltà della Casa Bianca a contenere la spirale inflattiva interna.
In questo contesto, le grandi manovre nel credito italiano appaiono quasi controcorrente. Ma proprio la volatilità rende più urgente il consolidamento. “La dimensione conta, e conta ancora di più nei momenti di crisi”, ha ribadito Lovaglio. Un messaggio che vale anche per Orcel, impegnato a misurare ogni passo ma consapevole che la finestra per un deal storico potrebbe richiudersi presto.

Tra strategie, poteri speciali e guerra di nervi
Il risiko bancario in corso è molto più di un’operazione finanziaria. È un banco di prova per la credibilità del sistema-Paese, per la coerenza della vigilanza europea e per la capacità dell’Italia di gestire una partita strategica senza ripiegarsi su logiche protezionistiche.
Il rischio è che, tra golden power e interferenze incrociate, le operazioni saltino non per ragioni di mercato ma per calcoli geopolitici. E che alla fine a pagare siano l’efficienza del sistema bancario e la sua capacità di affrontare le prossime crisi.

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