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La famiglia del bosco perde anche l’avvocato: “Contrari a tutto”. Il legale lascia l’incarico

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La famiglia del bosco perde anche l’avvocato: “Contrari a tutto”. Il legale lascia l’incarico

Alla fine è andato via anche l’avvocato. Giovanni Angelucci, il legale che da mesi assisteva la famiglia neorurale di Palmoli — quella che viveva nel bosco, con i figli sottratti e la patria potestà revocata — ha rimesso il mandato. Lo ha fatto con una dichiarazione asciutta, quasi chirurgica, ma carica di un sottotesto che racconta più di quanto non dica apertamente.

La famiglia del bosco perde anche l’avvocato: “Contrari a tutto”

“Negli ultimi giorni i miei assistiti hanno ricevuto troppe pressanti ingerenze esterne”, spiega. Parole che pesano, perché disegnano un confine che non è soltanto giuridico, ma umano. Un limite oltre il quale la fiducia non può più reggere.

È come se la vicenda, già segnata da tensioni e incomprensioni, avesse perso un altro punto d’appoggio. E ora la famiglia, rimasta sola tra la trincea del bosco e l’attenzione crescente dell’opinione pubblica, deve affrontare uno dei passaggi più delicati senza chi li difendeva.

Il nodo: rifiutato anche l’aiuto più semplice

Secondo quanto racconta l’avvocato, la decisione è maturata dopo l’ennesimo rifiuto. Un imprenditore della ristorazione, originario della zona, aveva messo a disposizione una casa a pochi chilometri dal loro terreno: un’abitazione gratuita, immediatamente disponibile, dove i servizi sociali avrebbero potuto valutare un percorso di reinserimento graduale e forse, un giorno, anche la possibilità di rivedere i figli.

Ma la risposta è stata no. No alla casa. No ai lavori di sistemazione. No alla mediazione. No a tutto ciò che non fosse il bosco e la loro idea di autosufficienza. Un no che per il legale è stato l’ultimo. “Hanno rifiutato anche la casa”, spiega. E sembra che proprio questo abbia reso evidente la distanza ormai insanabile tra le strategie difensive possibili e l’ostinazione dei coniugi, irrigiditi in una posizione totale e assoluta.

Una fiducia che si incrina sotto la spinta delle voci esterne
Angelucci parla di “ingerenze esterne”. Non indica chi. Non dice da dove arrivano. Ma in questa storia, fatta di boschi, baracche, autarchia e social network, la pressione è un campo minato. C’è chi ha trasformato la vicenda in una battaglia di libertà, chi in una crociata ideologica, chi in un totem contro lo Stato. In mezzo, la famiglia — fragilissima — che assorbe ogni parola come se fosse un comando.

È questo il punto che il legale lascia trasparire. L’impressione che la voce degli altri sia diventata più forte della sua. Che il consiglio tecnico sia stato sostituito da messaggi, inviti, convinzioni di chi vede in loro un simbolo, non una coppia in difficoltà con dei bambini da proteggere. Se l’avvocato ha lasciato, è perché quella fiducia minima che tiene insieme difesa e assistiti si è sfaldata, come succede quando le decisioni sono guidate più dall’emotività che dalla necessità.

La famiglia del bosco e l’idea di un altrove impossibile

In queste settimane, la coppia ha ripetuto di voler vivere in modo “libero, naturale, autosufficiente”. Una scelta legittima, finché non entra in collisione con la sicurezza dei figli. La revoca della patria potestà è arrivata proprio per questo: le condizioni della baracca, l’assenza di servizi essenziali, l’isolamento, il mancato rispetto delle prescrizioni. Da allora, i servizi sociali hanno cercato un percorso possibile. La casa offerta dall’imprenditore era un compromesso: lontana dai centri abitati ma fuori dal bosco, protetta, dignitosa.

Rifiutarla significa chiudere un’altra porta. Significa rimanere dentro un’idea di vita che, nel concreto, non regge il peso delle responsabilità genitoriali. Significa anche rendere più difficile ogni prospettiva di ricongiungimento.

Un cammino che si fa più solitario

Ora la famiglia resta senza avvocato. Un nuovo legale potrà subentrare, certo. Ma servirà qualcuno disposto a raccogliere un incarico che non è solo giuridico: è anche un lavoro di mediazione, di ascolto, di pazienza. Un compito reso ancora più difficile da rifiuti continui e posizioni inflessibili.

La strada, già stretta, si fa ancora più impervia. La famiglia torna da sola nel bosco — metaforicamente e non — mentre intorno continua a muoversi una macchina istituzionale che deve garantire la tutela dei minori e, al tempo stesso, rispettare la dignità degli adulti.

Il bosco resta lì, immobile. Ma intorno, tutto si muove. E adesso, senza l’avvocato, la storia rischia di perdere anche l’ultimo filo di dialogo rimasto.

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