La nostra biblioteca - Everett - Gli alberi - I diritti civili soffocati dall'oblio della quotidianità

- di: Diego Minuti
 
L'America contemporanea sembra viaggiare troppo velocemente per avere la forza di fermarsi a riflettere, per cercare di capire se la strada che ha imboccato, ormai da anni, finirà per decretarne il tracollo sociale.
Non è catastrofismo di bassa lega, ma una considerazione che viene naturale se si pensa a quanto accade dall'altro lato dell'Oceano e che, anche se esecrabile, se incute orrore o paura. Eventi il cui ricordo o ammonimento, sebbene brucianti, evaporano nel giro di un battito d'ali, perché raggiunti e sopravanzati dall'onda emozionale di qualcos'altro.
Per chi vuole comprendere il significato di questo processo di irrefrenabile metabolizzazione di quanto accade negli Stati Uniti di oggi, la lettura di ''Gli alberi'' di Percival Everett (La nave di Teseo - pag.378 - 20 euro) è un tuffo in un modo di pensare di cui, sebbene ci picchiamo di dire di conoscere benissimo, riusciamo solo a scalfire la superficie. appare come la goccia di resina che scorre da un albero, lentissima eppure che si muove, dando il tempo di vederla. ''Gli alberi'' è un libro sul razzismo, ma non è ad esso circoscritto, perché, pur partendo da un fatto di cronaca che risale al 1955 e che, come si usa dire, scosse le coscienze, ma non le intaccò, corre nel tempo fino ad epoche a noi più vicine.

La nostra biblioteca - Everett - Gli alberi - I diritti civili soffocati dall'oblio della quotidianità

Un'era fa, se si pensa a come corra la società americana, ma al tempo stesso attuale perché certi pregiudizi sono lenti a scomparire, semmai scompaiano veramente.
''Gli alberi'' parla di nn ragazzo di 14 anni, nero, Emmet Till, di Chicago che, in vacanza in una cittadina del profondo Sud (nel Mississippi), paga con la vita il fatto di avere rivolto la parola ad una ragazza di 21 anni, lei bianca, in modo che lei giudica irriguardoso, al punto da ''denunciare'' l'accaduto al marito.

Questi pensa bene, facendosi spalleggiare dal fratellastro, di rapire il ragazzo, pestarlo in modo selvaggio, e ucciderlo, cercando di farne sparire il corpo in un fiume, zavorrato da una grossa pietra. Ma il fiume non accetta quella morte e restituisce il cadavere, ormai irriconoscibile, per i colpi e per la permanenza nell'acqua. Quando il corpo di Emmet torna a Chicago, la madre si rifiuta di coprire la bara, si rifiuta di nascondere l'orrore e l'insensatezza di quella morte, di quell'omicidio, affinché la fine del figlio - per le circostanze assurde in cui è maturata - sia d'esempio e monito.

Solo che, a distanza di più di 65 anni da questi eventi, in alcune aree - purtroppo affatto circoscritte - degli Stati Uniti l'orologio del razzismo, del suprematismo continua a battere le sue ore, a scandire il tempo dell'intolleranza.
Come testimoniano le morti violente di alcune persone di colore uccise, senza alcuna giustificazione, da quelle forze di polizia che le dovrebbero tutelare e che, invece, spesso esercitano il loro ruolo a senso unico, come se i soli a compiere atti violenti abbiano la pelle scura.
Percival Everett è lui stesso afroamericano, ma questo non sposta nulla perché il suo modo di raccontare la storia (che dalla morte di Emmet Till si evolve nel tempo) è universale, nel senso che, dietro le parole, potrebbe celarsi chiunque.

Chiunque abbia a cuore il diritto di tutti a vivere e ad esprimersi, senza che tale patente gli sia attribuita per la sua origine etnica. Everett scrive e racconta, anche se è palese lo straniamento di vedere come il suo Paese dimentichi in fretta e non faccia tesoro dei fatti. Così come è evidente l'effetto narcotizzante del ciclo ininterrotto delle notizie, che crea assuefazione o, peggio, dipendenza. Oggi, dice Everett, si vede una pigrizia intellettuale, effetto di storie che si susseguono incessanti, senza dare il tempo di decifrarne il senso.
La polarizzazione, per lui, ''è il nuovo standard del discorso politico''.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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