Verso le europee: per fortuna, la parola ora passa agli elettori

- di: Redazione
 
Ancora poche ore e questa campagna elettorale, contrassegnata spesso da pressapochismo, esagerazioni, azzardi e illusioni, chiuderà i battenti, per lasciare il posto agli elettori che, forse mai come oggi, andranno alle urne con poche certezze. A meno che la scelta non sia stata fatta in anticipo, sulla base di convinzioni politiche pregresse.
Perché, se ci si dovesse basare su quello che si è sentito e visto, il sicuro vincente delle elezioni sarebbe la confusione.
Coloro che si presentano al giudizio degli elettori sanno benissimo che tutto quello che hanno detto e promesso ben difficilmente diventerà realtà, perché le logiche di Bruxelles sono le stesse da sempre e anche un eventuale ribaltamento delle maggioranze potrebbe mutarle, se non nel lunghissimo periodo.

Verso le europee: per fortuna, la parola ora passa agli elettori

Ciò nulla toglie al fatto che, presentandosi al cittadino che vota, i candidati hanno messo al fuoco tutta la carne loro disponibile o, come nel caso del generale Vannacci, tutte le munizioni in loro possesso.
Restando a Vannacci una considerazione è da fare: quale che sarà l'esito personale per lui, la Lega ne pagherà le conseguenze. Anzi, Salvini ne pagherà le conseguenze.
Perché se il generale dovesse avere una forte affermazione personale, il segretario dovrebbe prenderne a atto a fronte di sondaggi non certo rassicuranti, così come l'elettorato avrebbe conferma del fatto che il ''capitano'' ha ormai spostato la Lega su posizione di ultra-destra, con tanti saluti alle sue origini.

Quindi, in caso di affermazione personale del ''generale'', Salvini dovrà in cuor suo ''ringraziare'' Vannacci per avergli salvato la poltrona. Ma, in caso contrario, se cioè il candidato Vannacci non dovesse portare in casa leghista quell'1/2% in più di voti, la sconfitta per Salvini sarebbe bruciante, dopo la rivolta dei governatori della Lega, che non hanno votato il generale, cui non hanno voluto mai riconoscere il ruolo di ''papa straniero''.
Si vedrà. Comunque, dato per scontato che, alla fine, Vannacci - per il quale Salvini si è speso personalmente ben oltre ogni logica - andrà a Bruxelles, le sue sparate sui temi a lui cari (genere, sovranità, immigrazione, razza, colore della pelle, religione) saranno, per dirla come l'androide di 'Blade runner', lacrime nella pioggia e il giochino di dire che quando evoca la Decima fa riferimento a quella degli eroi di prima dell'8 settembre non farà alcun effetto. Subirà un lento processo di marginalizzazione, perché la logica è questa.

Da parte sua Fratelli d'Italia ha, comprensibilmente, personalizzato la campagna elettorale sulla figura di Giorgia Meloni, che ha fatto corsa solitaria, nell'ambito del suo partito, con le elezioni diventate una proposta di plebiscito: votatemi per confermare che sto governando bene. Giusta aspirazione, che però ha acuito, semmai ce ne fosse stato bisogno, l'impressione di un partito forgiato solo su di lei, con comprimari che restano tali, non avendo ancora compiuto il passo decisivo di essere ''pares'' pur riconoscendole il ruolo di ''prima''.
Anche l'enorme e scontata attenzione mediatica che è stata riservata al presidente del consiglio potrebbe non avere i risultati sperati perché troppo evidente è stata la sensazione di un rispetto quasi esagerato che ha evitato la formulazione di domande non scomode (nessuna domanda lo è, se fatta con rispetto per la verità), ma almeno capaci di mettere alla prova il presidente del Consiglio che certo, per la sua storia personale, non è tipo da battere in ritirata davanti a qualsiasi contestazione.

Anche in casa Pd qualcosa, in questa campagna elettorale, si è inceppata perché la scelta dei candidati ''esterni'' (cioè non organici al partito) oltre a provocare malumori, per la collocazione in lista, ha determinato qualche sbandamento nella base, confusa dai messaggi discordanti che giungevano su materie delicatissime, quali quelle che ruotano , ad esempio, intorno al tema della pace. Sentire dire a Marco Tarquinio, nelle stesse ore in cui razzi e droni russi colpivano edifici civili in Ucraina, facendo stragi, che è il momento di sciogliere la Nato ha creato confusione nei militanti del Pd che sono in gran parte schierati a favore di Kiev, che resta l'aggredito e non è certo l'aggressore. Stessa cosa per altri candidati indipendenti che, nel conflitto in Medio Oriente, attaccano quotidianamente (e anche a buona ragione) Israele per i morti tra i civili, ma dimenticando di menzionare, come causa della reazione di Gerusalemme, l'attacco del 7 ottobre, gli ostaggi, gli stupri, i massacri.

Infine i Cinque Stelle che galleggiano, guardando all'Europa, in un limbo di indeterminatezza che, come accaduto ieri sera, in occasione del passaggio di Giuseppe Conte su La7, è caduto in una pervicace ricerca del non schierarsi. Conte non ha detto a quale famiglia si iscriverà a Bruxelles, restando molto nel vago se non facendo riferimento vago al campo progressista.
Dire ''votatemi e dopo deciderò, in base alla convenienza, con chi schierarmi'' non è che sia rispettoso dell'elettorato che in qualche modo vuole capire a cosa servirà il suo consenso. Ma nessuna sorpresa perché anche ieri sera Conte ha voluto dare di sé (o anche di Cinque Stelle) una sensazione di indeterminatezza che ha creato anche fastidio nei telespettatori. Come quando Lilli Gruber, ricordando una precedente intervista, gli ha chiesto se è ancora equidistante tra Biden e Trump, anche dopo la condanna di quest'ultimo. Conte ha risposto in modo talmente vago da rivalutare ai nostri occhi il Re Tentenna.
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